ARTempi

Leonardo e il ritratto moderno

Di Mariapia Bruno
01 Agosto 2011
Così, durante il soggiorno alla corte degli Sforza, Leonardo da Vinci ruppe con la tradizione creando una pittura di verità. Dei suoi soggetti si apprezzava non solo l'ambito estetico, ma anche quello sensitivo, la loro struttura interna, il loro animo

Quale instancabile studioso ed amante della realtà manifesta, Leonardo da Vinci (1452 – 1519), pittore “puro” concentrato sulla “visività” del mondo, scriveva nel suo Trattato della Pittura che tutto «cio che è nell’universo per essenza, presenza o immaginazione, il pittore lo ha prima nella mente, e poi nelle mani, e quelle sono di tanta eccellenza, che in pari tempo generano una proporzionata armonia in un solo sguardo qual fanno cose». L’arte è per l’artista una sorta di seconda creazione che viene filtrata attraverso la filosofia, dunque attraverso la scienza, e trasformata nel linguaggio piu consono con il quale comunicare la conoscenza del mondo sensibile. Eloquente genio creativo, scienziato, letterato, poeta e molto altro, Leonardo ci ha lasciato una sterminata eredità di opere eseguite a partire sin dagli anni acerbi della giovinezza fiorentina fino a quelli della piu matura vecchiaia spesi presso la corte di Francesco I di Francia. Pittore dall’impazientissimo pennello, durante il primo soggiorno milanese presso la corte di Ludovico Sforza, dal 1482 al 1499, l’artista era già una leggenda e godeva di una retribuzione fissa che gli permetteva di poter utilizzare la propria libertà creativa per sperimentare nuovi modi di percepire e registrare il mondo naturale, concentrandosi soprattutto sull’anatomia umana, l’anima e le emozioni. «Del Vinci a suoi disegni et suoi colori et moderni et gli antichi hanno paura» diceva il poeta Bernardo Bellincioni, anche lui attivo presso il Moro.


 


 


Ed è proprio grazie a questi disegni e alle raffigurazioni dei personaggi della corte sforzesca – da Il Musico (1485-1488) a La Dama con l’ermellino (1489-1490) a La Belle Ferroniére (1492-1494) – che Leonardo riusci a rompere con la tradizione del passato, divenendo l’inventore per eccellenza del ritratto moderno. «Egli è l’eroe, il creatore che plasma il soggetto nella sua effettiva interezza, senza percorrere la tortuosa via della trasformazione del mondo esterno. Nelle sue opere vengono rappresentati, o meglio, estrinsecati per la prima volta i moti dell’animo», e attraverso i gesti, il movimento e le attitudini il personaggio ritratto dichiara la propria interiorità, la sua struttura interna, la sua anima. Ecco che si dice addio al ritratto quattrocentesco – quel ritratto celebrativo, dinastico, che non rispecchia mai l’interiorità del soggetto raffigurato, ma mostra soltanto la classe sociale, il prestigio politico e il ruolo di chi commissiona – e si da il benvenuto al ritratto “di naturale”.


 


 


Prima di diventare in maniera assoluta il pittore delle emozioni, Leonardo dipinge il suo unico ritratto maschile, Il Musico della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, in cui la resa vivida dei dettagli fisiognomici mostra ancora una forte sensibilità alla ritrattistica nordica che viene però mediata dalla lezione di Antonello da Messina evidente nella resa particolarmente espressiva degli occhi e nella forte introspezione psicologica. Ma è La Dama con l’ermellino ad esser considerato il primo ritratto moderno rispondente all’aspetto naturale, perchè cattura, come in una istantanea fotografica, la figura della donna così come si presenta e come si muove nello spazio, senza nessuna posa costruita. E’ una creazione artistica che rivaleggia la natura, come diceva lo stesso Bellincioni. La dama, Cecilia Gallerani, bella e colta favorita di Ludovico Sforza, nota per la sua bellezza, erudizione e capacità poetiche, è ritratta con in braccio un ermellino che Leonardo stesso descrive come simbolo di purezza, gentilezza e onore. Le affinità elettive tra la donna e l’animale sono molteplici: le loro pose coincidono, gli attributi del felino sono trasferibili a Cecilia ed il nome greco dell’animale, “galé”, alluderebbe anche al nobile casato della dama. L’espressione della protagonista, che accenna un sorriso appena abbozzato e timido tipico leonardesco, trasmette la sua vita interiore, la sua anima e la sua mente, quello che oggi chiamiamo psicologia, e nei suoi stessi lineamenti si riflette anche il carattere araldico dell’animale, emblema adottato da Ludovico Sforza nel 1489.


 


 


La donna è ritratta mentre si volta verso qualcuno che rimane esterno al dipinto, con un movimento trattenuto, sospeso e descritto dalla luce che cade dall’alto sottolineando il dinamismo plastico delle membra e degradandosi verso la tenebra dello sfondo nero. Lo studio ottico della luce, della rifrazione, del movimento dell’aria, va di pari passo con lo studio del movimento interno del corpo umano e diventa analisi dei moti interiori che vengono riflessi attraverso lo sguardo. Ne è uno splendido esempio La Belle Ferronière: qui tutto è giocato sul magnetismo degli occhi che – come scriveva lo stesso padre del dipinto – non sono altro che sono la «finestra dell’anima» e che fanno di quest’opera un ritratto parlante profondamente idealizzato preludio della più tarda e misteriosa Monna Lisa. La profondità e il fascino dello sguardo della donna – identificata come la duchessa moglie di Ludovico il Moro o una delle sue favorite, forse Lucrezia Crivelli o la stessa Gallerani in età più adulta – insieme all’innovativo taglio della figura, rende il dipinto una delle più importanti opere del pittore. La bellezza del soggetto, che è innanzitutto prodotto della natura, è il risultato di un movimento interiore che l’artista riesce a ricreare e ad indagare in maniera mimetica dando la possibilità all’osservatore di coglierla in tutta la sua essenza. In questo modo la pittura viene posta su un piano del tutto nuovo, e diviene strumento che consente di apprezzare non solo l’ambito estetico, ma anche quello sensitivo e conoscitivo.


 


 


 


Il bello però non ha una forma costante, ma è legato a quella stessa ispirazione e a quell’impulso di indagare e conoscere, a quel forte desiderio di mettersi in rapporto con la natura; è un bello che dipende dall’animo, dal luogo, dalla luce. E il bello viene catturato nella sua mutevolezza, come dimostra l’imponente tela de La Vergine delle Rocce (1491-1508) della National Gallery di Londra. Qui i personaggi vengono fissati tutti insieme in un istante ed ognuno di essi si presenta ai nostri occhi con il proprio moto sospeso: l’angelo osserva dolcemente la scena mentre sostiene il Bambino, la malinconica Vergine cinge da un lato il piccolo Battista che si protende verso Gesù e dall’altro, con la mano sinistra, richiama a sé il proprio Figlio benedicente con un gesto protettivo. Su uno sfondo di grotte rupestri e circondati da una vegetazione acquatica spontanea in un paesaggio geologico che appare millenario, i quattro protagonisti si fondono incantevolmente con tutto ciò che li circonda. La vita umana si inserisce nella vita della natura. Mai prima d’ora un dipinto di soggetto sacro aveva rappresentato con tanta evidenza il mondo fisico. Quella di Leonardo è una pittura di verità che nasce da uno sguardo che si pone sulle cose ma che diventa sguardo nelle cose stesse, in una prospettiva duplice ma intrinsecamente connessa che dalla meccanica dei corpi passando per l’anatomia approda nella sensibilità di ciascun intelletto, cogliendo in questo modo la più profonda essenza delle passioni.


[internal_gallery gid=24955]

Articoli correlati

1 commento

  1. I simply want to tell you that I am new to blogging and truly liked this web-site. More than likely I’m likely to bookmark your website . You certainly have incredible well written articles. With thanks for sharing with us your website page.

I commenti sono chiusi.