Le strade che portano a Milano

Di Mariarosaria Marchesano
17 Giugno 2017
Dopo la Brexit, il capoluogo lombardo è crocevia di interessi economici e commerciali. Strategie, manovre e leggi per fare in modo che la locomotiva cittadina traini tutto il paese fuori dalle secche della crisi

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Le diplomazie sono al lavoro da mesi e questo è forse il momento più delicato. Il progetto di Milano capitale della finanza, e non solo, potrebbe prendere forma presto aprendo una nuova fase per tutta l’Italia, che mai come oggi avrebbe bisogno di uno shock positivo e di agganciarsi alla città che meglio la rappresenta in Europa. Milano sta salendo in tutte le classifiche sull’attrattività degli investimenti e questo non solo grazie alla scia positiva dell’Expo 2015, ma per un rinnovato interesse nei confronti di una città che sa miscelare efficienza e qualità della vita, modernità e tradizione, caratteristiche che non sfuggono all’occhio vigile di chi, fuori dall’Italia, decide dove e come spendere i capitali. Come in tutte le cose ci vuole anche un po’ di fortuna e gli esiti dei vari dossier che compongono questo articolato progetto non sono affatto scontati in una fase in cui si sta ancora cercando di capire quali saranno gli effetti della Brexit sui paesi dell’eurozona. Non che i risultati delle elezioni britanniche possano in qualche modo far cambiare direzione al percorso di uscita dall’Unione Europea, ma perché la competizione è alta e molte città – Parigi, Francoforte, Vienna, Copenaghen, Strasburgo, Amsterdam, per citarne alcune – hanno messo in campo i massimi livelli delle burocrazie governative per sedersi ai tavoli in cui si decide la ricollocazione di attività istituzionali e finanziarie fino ad oggi ospitate dalla City.

Entro la fine di giugno il board dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco con sede a Londra, comunicherà la short list delle tre città finaliste che si sono candidate a ospitare il nuovo quartier generale con i circa mille dipendenti e le loro famiglie. I primi di maggio una delegazione di tecnici dell’Agenzia è venuta a Milano per un sopralluogo al Pirellone, l’immobile che il governatore Roberto Maroni è pronto a “sacrificare” pur di avere vinta una partita che sta giocando fianco a fianco con Beppe Sala, ma con la consapevolezza di avere tirato fuori dalla manica l’asso che si potrebbe rivelare decisivo per il risultato finale, visto che la soluzione paventata dal Comune sulle ex aree Expo sembra non aver convinto gli inglesi.

Tutti zitti, o quasi, in questa fase, per rispettare la consegna del silenzio arrivata direttamente da Palazzo Chigi dove pochi giorni fa è stato tenuto a battesimo il comitato Milano European Financial Hub tra Governo, Comune di Milano, Regione Lombardia, Banca d’Italia e Consob, proprio con l’obiettivo di stimolare la creazione di un polo finanziario europeo anche in ottica post Brexit. A coordinare il gruppo di lavoro è stato designato Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del Mef, il quale, senza più la pressione di elezioni ravvicinate, dovrebbe avere maggior tempo per impostare una strategia e tenerne le fila. Ma tutta la partita si gioca su tavoli diversi che coinvolgono anche altri soggetti istituzionali. A Enzo Moavero Milanesi, giurista e politico, il premier Gentiloni ha affidato il compito di tessere la tela delle relazioni tra Roma, Bruxelles e Londra per sostenere la candidatura di Milano per la sede dell’Ema sapendo di poter contare sui rapporti da questo intessuti ai massimi livelli con la burocrazia di Bruxelles quando Milanesi era ministro degli Affari europei nel governo di Mario Monti. Sulle chance effettive di raggiungere l’obiettivo, Milanesi ha puntualizzato di recente ai microfoni del Gr Rai: «La candidatura di Milano è una missione difficile ma permette al nostro paese di giocare la sua anima migliore. Quella per la sede dell’Agenzia europea del farmaco, ma anche per l’Autorità regolatrice delle banche, sono partite con talmente tanti partecipanti che non è possibile fare previsioni». Scaramanzia o semplice cautela? Si vedrà. Intanto, a livello legislativo prosegue il percorso per approvare un pacchetto di norme per attrarre a Milano cervelli e imprese dall’estero.

«Nei prossimi giorni darò il via al giro di consultazioni per completare l’iter della legge speciale per Milano che dovrebbe essere votata in sede deliberante nel giro una quindicina di giorni», annuncia a Tempi Maurizio Bernardo, presidente della Commissione Finanze della Camera, che lo scorso febbraio ha approvato la risoluzione parlamentare che, di fatto, ha dato il via al percorso per la creazione del distretto finanziario a Milano. In che cosa consiste la proposta di legge, che è stata presentata il 3 maggio? Si tratta essenzialmente di un insieme di agevolazioni fiscali che vanno dalla riduzione dell’Irap per le società che decidono di insediare la propria sede nel capoluogo lombardo a incentivi per i lavoratori espatriati che stabiliscono la residenza in Italia e sono, però, assunti da operatori con sede a Milano, dalla modifica della tassazione per i dividendi transfrontalieri a incentivi per nuovi investimenti immobiliari nel capoluogo lombardo. «Il cuore della proposta normativa è essenzialmente di tipo tributario, ma non escludo che, dopo aver anche ascoltato la società civile e il mondo della cultura – si decida di inserire la possibilità di integrare l’offerta di scuole internazionali con nuove iniziative in questo settore», conclude Bernardo, sottolineando la necessità di andare incontro alle esigenze di famiglie straniere che finora hanno vissuto in Gran Bretagna.

Insomma, sembra proprio che il paese ce la stia mettendo tutta per sostenere la candidatura di Milano che, ricordiamolo, non è limitata alla sede dell’Ema, ma punta ad attrarre anche tutta una serie di attività legate ai mercati finanziari, come i servizi dell’euroclearing oggi gestiti da una controllata del London Stock Exchange.

Istituzioni solide
A credere che Milano possa rappresentare una valida alternativa a opzioni come Parigi e Francoforte è Bepi Pezzulli, il presidente di Select Milano, una sorta di comitato-lobby che raggruppa banchieri, professionisti e rappresentanti di istituzioni economiche e commerciali che da sempre operano sull’asse Milano-Londra e che prima di altri hanno intravisto nella Brexit un’opportunità per l’Italia. Da quando, però, Select ha avuto questa intuizione (ci sta lavorando almeno dal 2016) il governo italiano ha cambiato già una volta premier e con nuove elezioni potrebbe cambiare di nuovo. Com’è percepito tutto ciò dai tavoli che devono decidere? «Al di là della percepita instabilità politica, l’Italia ha una struttura istituzionale solida. Soggetti come Consob, Borsa Italiana e Banca d’Italia rappresentano un grado di affidabilità elevato presso quelle tecnocrazie britanniche che hanno potere decisionale in certi processi – spiega Pezzulli – forse non è chiaro a tutti che la Brexit è sì il frutto di una scelta politica del popolo britannico, ma è soprattutto l’esito di una decisione che viene da lontano, quando i poteri finanziari hanno deciso di dare una nuova vocazione alla piazza londinese rendendola più aperta ai mercati del sud est asiatico». Pezzulli ci crede e farà sentire la sua voce come neo consigliere di Finlombarda, la finanziaria della Regione Lombardia che l’assessore alle attività produttive della Regione, Francesco Garavaglia, ha schierato come centro finanziario e banca di sistema al servizio del progetto. 

@MRosariaMarche2

Foto Ansa

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