Le grandi bugie del professor D’Orsi

Di questi tempi, il professor Angelo d’Orsi è noto per la sua scomunica implacabile di Giampaolo Pansa. Non bastando alla sua collera il vocabolario, ha coniato un termine speciale: il “rovescismo, fase suprema del revisionismo”. Ma per apprezzare appieno l’opera del professor D’Orsi non bisogna fermarsi al caso Pansa. Qualche anno fa egli fu oggetto di dure polemiche e di attacchi da parte della sinistra storiografica per un libro in cui bollava le compromissioni con il fascismo di molta parte del mondo culturale e dell’ebraismo torinesi. Molti pensarono di trovarsi di fronte a un’opera storiografica “revisionista”, volta a dare un’immagine dell’Italia del periodo fascista più sfaccettata e articolata, meno aderente al cliché di un paese antifascista schiacciato sotto il tallone di una minoranza fascista. Pansa osserva che fu forse per le bastonate ricevute da sinistra che D’Orsi decise di scaricare una bastonata su di lui. Ma non è così. Diamo a D’Orsi quel che gli spetta. Basta leggere gli articoli con cui allora si difese, i suoi richiami al marxismo e a modelli storiografici come Hobsbawm per capire a cosa mirava: mettere alla gogna quanti – azionisti ed ebrei di dubbia rettitudine – avevano gettato un’ombra sull’immagine dell’antifascismo e ne avevano macchiato il vessillo immacolato. Insomma, il suo bersaglio erano i traditori dell’antifascismo, i precursori di Pansa. Una perfetta coerenza che neppure a sinistra era stata capita, ma che ora rifulge adamantina nella polemica contro La grande bugia. Se si vuole apprezzare fino in fondo tale coerenza occorre tener conto di un’altra recente impresa del professore: il suo appello di “intellettuali” contro Israele in occasione della guerra del Libano. Egli ne ha illustrato il senso in un mirabile articolo pubblicato su Liberazione agli inizi di agosto, dal titolo “Noi antirazzisti rifiutiamo il ricatto dell’antisemitismo”. La coerenza è la solita: chi ha passato una vita a combattere per gli ideali di sinistra – pace, giustizia sociale, uguaglianza, libertà “temperata” dalle esigenze di solidarietà e legalità, antirazzismo – deve lottare contro il negazionismo mantenendo «le postazioni, quasi vigili sentinelle della verità della Storia» (trema, o Pansa!). E proprio per questo, come accettare la degenerazione della comunità “israelitica” che ha persino favorito il viaggio di Fini in Israele? Come è possibile lasciare «libero campo all’integralismo israelitico» (sic)? Un integralismo prono all’oltranzismo israeliano e alla sua «ferocia morale». Basta quindi col ricatto dell’antisemitismo e avanti con una campagna «incessante» contro la politica di pulizia etnica e di apartheid di Israele. Il mondo democratico deve trovare la forza di dire «che il terrorismo è anche, e forse prima di tutto, quello israeliano e statunitense».
Il lettore che voglia dilettarsi a leggere per intero questo incredibile testo, il non meno incredibile appello e la lista dei firmatari (gonfiata in tutti i modi, persino includendo “laureandi”, “studiosi in formazione” o “altri studiosi”), li troverà in rete. E, tenendo conto di certe entusiastiche dichiarazioni di accordo (tra cui l’immancabile Rossana Rossanda), troverà materia per riflettere sulla balla colossale che il comunismo sia morto e sepolto.

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