Non è vero che tutti i maschi sono insensibili e superficiali. Alcuni siti internet hanno gioito per le riserve mostrate da utenti uomini per l’ultima campagna pubblicitaria del megastore SuitSupply. La nota marca di indumenti ha lanciato in rete alcune immagini e video di uomini in ghingheri che passeggiano attorniati da modelle mezze nude. Lui sorridente in giacca e cravatta, fazzoletto nel taschino, elegante copricapo in testa, una mano in tasca, disinvoltamente felice di essere l’unico vestito in quel gruppo di modelle.
Solo che, hanno esultato i siti online più sensibili nella difesa del corpo femminile, lo spot si è rivelato un «autogol». È infatti accaduto che il famoso “popolo del web” è «insorto» contro quelle immagini oltraggiose. La campagna, almeno secondo i succitati siti, ha raccolto molti commenti di riprovazione.
«Invece di ottenere un plebiscito dal popolo maschile – ha scritto D di Repubblica – il brand newyorchese è stato massacrato dai suoi clienti durante un sondaggio condotto online. I commenti sono stati per lo più negativi: “Anche se i vostri abiti sono di buona qualità non posso acquistare in uno store che usa questo genere di pubblicità” o ancora “queste immagini sono offensive per la maggior parte di noi” e via così. Il brand ha divulgato anche una versione censurata della campagna ma le polemiche non si sono placate. E quello che fa piacere è che a protestare questa volta contro il maschilismo sono proprio i maschi».
D’accordo, ma la questione può essere guardata anche da un’altra angolatura. Nel 2010 lo stesso marchio lanciò una campagna intitolata “Shameless” (senza vergogna). Vi comparivano immagini, anche in quel caso, esplicitamente maschiliste. Modelli in giacca e cravatta e fazzoletto nel taschino erano immortalati mentre sottomettevano alcune modelle. Lui mentre possiede lei seminuda su una poltrona, lui che la tocca con noncuranza su una scala.
Anche allora: proteste, indignazione, richieste alle varie authority planetarie di intervenire e di fermare quelle fotografie sessiste. Persino nella liberale Olanda, che non si fa troppi scrupoli quando si tratta di decidere della vita di bambini disabili, anziani e malati, quelle immagini suscitarono sdegno e riprovazione.
Sarebbe il caso di farsi qualche domanda. Perché, quattro anni dopo, l’azienda è tornata ad investire su una campagna scandalosa? Segno che il maschilismo è ancora mentalità dominante? Segno che siamo ancora legati a stereotipi del passato? Segno che occorrano leggi e norme che puniscano in maniera ancora più dura tali atteggiamenti? È forse il caso che comitati, associazioni, ministeri delle pari opportunità accelerino ancor più il proprio impegno per diffondere una cultura maggiormente rispettosa del corpo della donna? Può essere.
Ma resta ancora la domanda: perché la casa di vestiti di New York è tornata a insistere su quelle immagini? Stiamo parlando di un prodotto commerciale e il primo scopo di una réclame è attirare l’attenzione. La campagna del 2010 centrò l’obiettivo: la gente si indignò e ne parlò. È così peregrino sospettare che si sia voluto, semplicemente, riproporre lo schema? “Ecco altre immagini scandalose, parlatene”. Nuova indignazione – questa volta corredate dalla panacea della insurrezione maschile –, ma risultato identico.
In fondo, nella gabbia dell’indignazione tutto si tiene. L’azienda è contenta perché vede che il suo investimento è riuscito (il suo prodotto è sulla bocca di tutti), i pubblicitari passano all’incasso perché sono riusciti a rendere “virale” il contenuto della loro campagna, i siti internet pigiano sul tasto della riprovazione collettiva ma intanto producono infinite carrellate di immagini per ottenere visualizzazioni, gli utenti partecipano al gioco condividendo articoli e immagini per rendere nota la propria stizza, i comitati e ministeri vari trovano una ragion d’essere alla loro esistenza.
Ogni pezzo dell’ingranaggio fa il suo dovere e la macchina funziona a meraviglia, fino alla prossima campagna “scandalosa”. Così, in questo continuo alternarsi di manifestazione del proibito e catarsi per emendarlo, tutti passano all’incasso, tranne il consumatore anonimo cui, fra qualche mese, sarà solo chiesto di agitarsi per qualche nuovo motivo. Se poi, nel frattempo, immemore della sua indignazione che fu, passasse anche in negozio ad acquistare un completo da uomo, ce ne è uno della SuitSupply, che, si fidi, gli calza proprio a pennello.