La preghiera del mattino (2011-2017)

Le donne di padre Aldo Trento

Di Franca Giansoldati
01 Ottobre 2015

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Articolo tratto dall’Osservatore romano – Povera Liza. Povera Paulina. Povera Patricia. Tutte con le ali spezzate. Botte, violenze domestiche, sevizie. La via crucis ha tanti volti. E la lista dei loro nomi potrebbe continuare a lungo.

Del resto, in questi anni, la casa della speranza di padre Aldo Trento, missionario in Paraguay, è conosciuta per essere una specie di porto di mare, un approdo sicuro dove trovare rifugio. Quando la polizia non sa cosa fare, alle prese con casi di violenza estrema, bussa al portone di legno della parrocchia. Da un muro di cinta di mattoncini rossi spuntano ciuffi di piante. «Benvenuti, qui si confessa ogni ora», c’è scritto.

Naturalmente i poliziotti non vanno da padre Aldo per confessarsi. Sanno che è l’unico che accoglie gli scarti umani che nessuno vuole; troppo spesso corpi di donne ridotti a una poltiglia di sangue, denutriti, sottoposti a ogni genere di pratiche bestiali. Ragazzine dal volto di bambine pestate a sangue. Perché non è solo il racket della prostituzione a mietere vittime. Il machismo, deformazione culturale devastante, è parte sostanziale della società sudamericana.

Al sinodo straordinario sulla famiglia, lo scorso autunno, sono risuonate nell’aula assembleare diverse testimonianze. Erano riflessioni angustiate sulla deriva di questo fenomeno endemico al quale la Chiesa si oppone con forza e contribuisce a fermare. Cosa certamente non facile, visto che l’imprinting popolare muta col tempo, di generazione in generazione, e così c’è bisogno di un costante impegno a livello educativo e didattico, in parrocchia, nelle scuole. In ogni caso serve determinazione e coraggio. Il silenzio non giova mai.

Povera Liza, povera Paulina, povera Maria. Potrebbero essere nomi di fantasia, eppure non lo sono. Le loro vite non sono invenzioni, frutto di operazioni immaginarie. Disgraziatamente la realtà con la quale ci si scontra quando si mette piede nell’hospice di padre Aldo fotografa uno spaccato impietoso di prepotenza. Il volto oscuro della famiglia. Mariti brutali, padri orchi, padrigni senza pietà.

E così nella struttura parrocchiale del missionario italiano non solo trovano riparo i malati terminali e i bambini abbandonati, ma ritrovano il sorriso anche le donne con le ali spezzate. Alcune sono lungodegenti, con patologie invalidanti riportate dopo anni di sevizie.

In una stanza colpisce il volto di cartapecora di una anziana. Sembra un cameo del secolo scorso, a un primo sguardo potrebbe essere centenaria. Immobile, mantiene una posizione fissa, quasi innaturale. Mercedes, invece, ha da poco compiuto cinquantaquattro anni. A trasformarla in questo fagotto pelle e ossa sono state le botte. Tante. Per anni, al punto che l’hanno fatta diventare autistica. Dal suo mondo inghiottito nel buio la donna capta solo una voce: quella di padre Aldo. Quando le si avvicina evocando due parole sacre per gli indios guaranì, lei spalanca gli occhi: è come se una chiave avesse aperto una memoria affievolita. Mercedes si alza dal letto pronta ad accogliere la benedizione con le mani giunte. Una donna accanto a lei osserva quello che accade. Padre Aldo sussurra altre parole di affetto. Le infermiere si fanno in quattro per aiutare coloro che non sono più in grado di essere autonome. Apparentemente sono tutte anziane, ma chi può dirlo?

Le botte che hanno preso per anni, le hanno sfigurate, invecchiate, curvate. Padre Aldo ha messo in piedi una specie di welfare alternativo. «Per noi europei il machismo è qualcosa che non comprendiamo fino in fondo. Certo, abbiamo violenze, assistiamo a uccisioni, ma non abbiamo una cultura maschilista così violenta e radicata. La Chiesa cattolica è consapevole che bisogna difendere l’importanza dell’uguaglianza tra uomo e donna, insegnando il mutuo rispetto, la complementarietà dei ruoli».

Il cammino da fare è in salita. Nulla è scontato. Al piano sottostante del centro parrocchiale, nel grande salone pieno di giocattoli colorati e mobili allegri, una decina di bambini si diverte. Alcuni di loro hanno solo pochi mesi. Sono accuditi da cinque o sei ragazze che avranno sì e no una ventina d’anni.

In disparte c’è Liza, una adolescente paralizzata, costretta su una carrozzina. Occhi nerissimi, capelli corvini, il suo sguardo è assente. Anche lei con le ali spezzate. La sua storia ha commosso Papa Francesco quando si è recato a fare visita al centro di don Aldo. La sua è forse la vicenda più agghiacciante.

Liza è appena dodicenne, ma a vederla sembra ancora più piccola. Per anni è stata violentata dal padrigno che la lasciava senza cibo, spegnendole le cicche delle sigarette sulle gambe, divertendosi a torturarla. Le cicatrici orrende non se ne andranno più. La polizia l’ha trovata, grazie a una segnalazione, abbandonata in una casupola, nelle campagne circostanti, in condizioni indescrivibili. I suoi piedi erano stati spezzati più volte ed è per questo che non le sarà più possibile reggersi. Padre Aldo l’ha accolta che non emetteva alcun suono, non apriva nemmeno gli occhi. Era incinta di sei mesi, violentata dal padrigno. Oggi il suo bambino, David, è un meraviglioso bebè coccolato da alcune ragazze che si alternano a fare le baby sitter. Ognuna di loro è portatrice di altre storie legate al marciapiede, alla droga, al racket.

Un bambino di tre anni, Diego, corre felice incontro al missionario e lo abbraccia. Gli porge un giocattolo rotto. «Ora proviamo a ripararlo». Come le ali da aggiustare di queste donne. Un sorriso per ciascuna. Forse un giorno torneranno a volare.

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1 commento

  1. Menelik

    Franca, tante volte posto commenti animati da sentimenti forti, sanguigni, a tratti violenti.
    Leggendo fino in fondo il tuo articolo, devo dire che lo trovo commovente, denso di speranza.
    Le vicende che hai descritto mi danno ulteriore conferma che davvero il Cristianesimo è il sale della vita umana.
    Vorrei tanto che quel prete sappia che persone come lui ti fanno sentire voglia di essere Cristiano, nonostante le mie ombre passate, le mie debolezze e le mie intemperanze.
    Che uomo !
    Non ho altre parole.

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