Le carceri scoppiano, il dubbio di D’Alema e i guardoni del dopo Italia-Francia

Di Tempi
12 Luglio 2000
La settimana internazionale

Carceri e Giubileo. L’appello del Papa e beghe partitiche.

Martedì 27 giugno e seguenti. Indulto o amnistia? Questo è il cerino che maggioranza e opposizione continuano a passarsi sperando che a bruciarsi sia l’altro. Intanto a bruciare sono le carceri. Il cerino, ancora una volta, l’ha acceso la Chiesa, che anche agli occhi di molti laici sembra essere rimasta l’unica istituzione depositaria, se non della ragione, di molte ragioni e di una saggezza introvabile in questo momento altrove. Vanno, sulla questione, distinti due piani. Uno è quello del Papa e della Chiesa universale che per l’anno del Giubileo rivolgendosi “con fiducia ai responsabili degli Stati” di tutto il mondo invocano “un segno di clemenza a vantaggio di tutti i detenuti”. L’altro è quello della Conferenza episcopale italiana (Cei) e del suo presidente, il cardinale Camillo Ruini, che da tempo chiedono analogo “gesto di clemenza” per i carcerati italiani. La richiesta dei vescovi italiani viaggia parallelamente con una proposta di legge per l’indulto e l’amnistia firmata da numerosi parlamentari di tutti gli schieramenti. Incontri tra esponenti della Cei e delle istituzioni (governo, Parla-mento e Quirinale) hanno cercato di preparare la strada per una accoglienza della richiesta avanzata. Si è mossa la Caritas, hanno rilasciato interviste i cappellani delle carceri, l’associazionismo cattolico che lavora con i detenuti ha preparato documenti e fatto sentire la sua voce, c’è stata insomma, oltre a quella di vertice, anche tutta quella diplomazia dal basso di cui la Chiesa sa essere capace. Anche il giudice Francesco Saverio Borrelli, probabilmente pressato da Gian Carlo Caselli, pressato a sua volta da don Luigi Ciotti, che è suo grande amico e compagno di battaglie anti-mafia; anche Borrelli, dicevamo, dopo le bordate di basso anticlericalismo (“Non vedo che cosa c’entri il Papa”), ha attenuato la rigidezza della sua contrarietà. Insomma, la Chiesa italiana su questa vicenda sta facendo il possibile per ricondurre alla ragione il caos della politica romana. Ma la politica, nei suoi calcoli elettorali sempre più assillanti, è riottosa e litiga mentre dovrebbe invece adoperarsi per trovare la soluzione legislativa di un problema, reso certamente più urgente dall’appello della Chiesa, ma che è tutto dello Stato e della società italiana. Un problema, sia permesso ricordarlo, che non sta nelle pur impressionanti cifre delle carceri italiane, ma in nomi e cognomi, storie e speranze dei suoi detenuti, molti dei quali in attesa di giudizio. Lo scontro sull’appello del Papa manifesta tutta l’irresponsabilità di cui può essere capace una classe politica. E anche tutto il suo clericalismo. Ma come, anni di proclami sulla laicità dello Stato e di accuse alle ingerenze della Chiesa e ora ci stiamo a chiedere se le parole del Papa significano indulto o amnistia? Se Giovanni Paolo II – che non deve ingerire, sia ben chiaro – con le parole “una riduzione, pur modesta della pena, costituirebbe per i detenuti un chiaro segno di sensibilità verso la loro condizione” consiglia allo Stato italiano l’indulto o l’amnistia? E che, ci facciamo fare le leggi dal Papa? Non sappiamo noi, nella nostra sempre rivendicata autonomia, se per i nostri detenuti, per le nostre carcerari, per la situazione del sistema-giustizia italiano è meglio fare l’indulto o l’amnistia? O entrambi? Ci deve dire il Papa quali reati inserire nel provvedimento? Pensiamo sul serio che il Papa stesse pensando solo a noi e non alla carceri brasiliane, africane, russe, cinesi? Ma se abbiamo allora tutta questa voglia di seguire Giovanni Paolo II perché non lo prendiamo alla lettera quando dice che il gesto di clemenza deve andare a vantaggio di “tutti” i detenuti, in quel tutti ci stanno anche i tangentari, i corruttori, i concussori. Ma qui, più che il calcolo elettoralistico, interviene l’odio del moralismo: il tangentaro no, con lui la riconciliazione è impossibile. Con tanti saluti al Papa che a tutto il mondo, e anche a quella parte di mondo che è l’Italia, scrive: “Non si tratta di applicare quasi automaticamente o in modo meramente decorativo provvedimenti di clemenza che restino soltanto formali, così che poi, a Giubileo concluso tutto torni a essere come prima. Si tratta invece di varare iniziative che possano costituire una valida premessa per un autentico rinnovamento sia della mentalità che delle istituzioni. L’accoglimento di questa proposta da parte delle autorità responsabili, mentre inviterebbe i detenuti a guardare al futuro con una nuova speranza, costituirebbe anche un segno eloquente del progressivo affermarsi nel mondo, che si apre al terzo millennio cristiano, di una giustizia più vera, perché aperta alla forza liberatrice dell’amore”. Giustizia più vera, cercasi esecutori, no nuovi esegeti, no perditempo.

D’Alema terminal.

Venerdì 30 giugno. Il presidente del Consiglio Giuliano Amato, parlando a Frascati in conclusione del seminario della Fondazione Italiani europei presieduta da Massimo D’Alema, ha tra l’altro detto: “Perbacco, abbiamo una coalizione, siamo in nove, riusciremo a non parlare soltanto fra di noi? Riusciremo pure a scatenarci nella società italiana costruendo terminali in grado di arrivare alla gente”. C’è un problema, non piccolo per un politico. Oltre che cercare di esprimersi per essere compreso dalla società, per “arrivare alla gente”, della società bisogna essere espressione, dalla “gente” bisogna venire. Uno dei metodi più sicuri per essere certi di essere espressione della società è quello di farsi eleggere. Prima di andare al governo, non dopo.

Il Presidente negli spogliatoi. Pecoraro Scanio non gradito.

Domenica 2 luglio. La Francia vince il campionato europeo di calcio battendo l’Italia per due reti a una. Negli spogliatoi azzurri non si festeggia. Negli spogliatoi azzurri scende a consolare gli italici pedatori il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. È ac-compagnato dalla ministra Giovanna Melandri. Della delegazione doveva far parte anche il ministro per le politiche agricole Alfonso Pecoraro Scanio, il quale però ha rinunciato a recarsi a Rotterdam per assistere alla finale Italia-Francia (come informa un’agenzia Adn Kronos di sabato 1 luglio alle ore 20.11) perché trattenuto in Campania per affrontare un’emergenza nel settore agricolo. “Sono veramente dispiaciuto” ha dichiarato il ministro “ma la partita si può vedere anche in tv, mentre le emergenze sono tali anche la domenica e vanno affrontate subito”. Voci maligne sussurrano invece che dietro il forfait del ministro bisessuale ci sarebbe stato una sorta di non gradimento del Quirinale, il presidente avrebbe provato un certo imbarazzo nell’entrare negli spogliatoi accompagnato dal ministro.

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