Lasciate che gli anziani vengano a me
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Un’anziana signora in carrozzella stringe in una mano una bambola e nell’altra un coniglietto di pezza, e non se ne separa mai perché, come i bambini, ha così la sensazione di essere attaccata a qualcosa e di riuscire a dominare l’angoscia di perdersi nel mondo. Un’altra dice con aria divertita di essere stata rapita per strada e portata dal parrucchiere. Sono alcuni degli ospiti di una casa di riposo che la scrittrice e psicoterapeuta siriana Masal Pas Bagdadi ha rinominato «albergo a cinque stelle». Bagdadi vi si recava regolarmente per trovare una sua amica e ha così avuto modo di immergersi a poco a poco in un mondo dove il tempo sembra sospeso e i ricordi del passato si confondono con la malinconia del presente. Ha conosciuto uno a uno tutti gli ospiti e le loro storie scoprendo con sorpresa di non riuscire a rimanere indifferente. Da questo incontro è nato il libro Il tempo della solitudine, edito da Bompiani, in cui Bagdadi dipinge con tenerezza e calore la fase finale della vita dove si perde il contatto con il mondo reale e ci si chiude nel ricordo della propria gioventù. Tra visite di parenti e riti dello Shabbat, racconta di anziani che credono di vivere ancora con i genitori, che meditano fughe dalla casa di riposo o che colgono ogni occasione per ricordare, non senza contraddizioni, episodi del loro passato.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«Ho scritto questo libro innanzitutto perché volevo mandare un messaggio sociale. Siamo di fronte a un progressivo invecchiamento della popolazione in una fase storica in cui la vita si prolunga, ma la qualità rimane bassa per ragioni fisiologiche» spiega Bagdadi a Tempi. Per far fronte a questo fenomeno sono sorte strutture ottimamente organizzate, come quella del libro, che comprende un giardino, un salone luminoso, il ristorante e spazi in cui si organizzano attività ricreative e culturali. «Ma questi tentativi di tenere attivi gli anziani e di farli socializzare non riescono a toccare fino in fondo le corde di una solitudine intima e profonda. Servono un modello e un approccio differenti».
L’idea rivoluzionaria di Bagdadi è quella di aprire case di riposo vicino alle scuole e di far dialogare due generazioni solo in apparenza così distanti. «Un tempo la convivenza sotto lo stesso tetto di nonni e nipoti facilitava la socializzazione dei primi e la crescita dei secondi. Bisogna tornare a quel principio». Bagdadi è specializzata in psicoterapia infantile e ha notato che tra anziani e bambini ci sono molti punti di contatto: percepiscono il tempo solo a livello emotivo e si confondono tra ieri, oggi e domani, ma questo non li turba affatto; sono propensi alla musicalità prima ancora che alla comprensione logica; hanno paura di addormentarsi perché temono di non svegliarsi più, e dunque di morire; si espongono volentieri al sole perché hanno bisogno di calore. «Entrambi non sono autosufficienti e dipendono da altri. I bambini però rispondono agli stimoli esterni, sorridono, instaurano le basi di una relazione che sta per aprirsi. Per gli anziani invece è una relazione che sta per chiudersi e questo crea difficoltà ai parenti e alle persone che stanno loro vicino».
Nella casa di riposo Bagdadi cerca di rompere questo muro approcciandosi agli anziani con grande delicatezza: li accarezza, rivolge parole dolci e soprattutto li ascolta. Una signora, si legge nel libro, la trattiene a lungo per raccontarle di sé stringendole le mani e alla fine si alza soddisfatta e le dice: «Grazie per avermi ascoltata, è il regalo più bello che potessi farmi». «È la stessa cosa che chiedono anche i bambini: essere ascoltati – spiega Bagdadi a Tempi –. Invece noi adulti, presi dalla fretta e dalle preoccupazioni, rimaniamo alla superficie, rischiando di occuparci male sia degli anziani sia dei bambini».
L’attenzione ricevuta o mancata fin dall’infanzia ha effetti importanti nella vecchiaia: come scrive Françoise Dolto, citata nel libro, «la solitudine dell’adulto è la solitudine rimasta del sé bambino… L’adulto non soffre di solitudine se non ne ha sofferto da piccolo». «Per questo è fondamentale il dialogo. Con i bambini, consiglio sempre ai genitori di non fare domande generiche del tipo “Com’è andata a scuola?”, ma di chiedere notizie dell’amico o comunque di aspetti che toccano da vicino la persona. Il momento migliore per parlare è la sera, quando calano le tensioni della giornata e i bambini sono più propensi ad aprirsi sulle loro paure o le loro speranze» spiega Bagdadi, che ha sperimentato questo approccio all’ascolto nel suo Centro giochi di Masal, un asilo nido di impostazione psicanalitica che si è poi trasformato in un centro studi sull’infanzia e l’adolescenza.
«Con gli anziani è più complicato. Bisogna innanzitutto accettare la loro situazione e il loro inevitabile decadimento fisico e psicologico. Non è importante quello che fanno (anche se noi vorremmo sempre vederli attivi), ma dovremmo interessarci a quello che pensano, a quello che sognano».
Quando Bagdadi si ritrova seduta a un tavolo insieme a un gruppetto di signore dell’albergo, ognuna di queste vorrebbe averla tutta per sé per raccontarle la propria storia, così si mettono a parlare confusamente, quasi facendo a gara. Nei loro discorsi «ho notato che tutte, senza distinzione, vogliono tornare a casa», scrive Bagdadi. Il concetto di “casa” non indica solo un luogo fisico, ma è innanzitutto un simbolo, una dimensione spazio-temporale in cui è possibile vincere la solitudine che ci attanaglia. Per questo molti anziani amano rifugiarsi con il pensiero nella loro infanzia, dove ritrovano un calore e una felicità rassicuranti. «Il primo elemento che identifica la casa è la figura della mamma», dice Bagdadi. E ricorda di un ospite dell’albergo che vuole prendere un taxi e propone di farlo poi pagare dalla madre. «Io stessa sto vivendo questa fase. Sto per compiere 79 anni e quando mi assale l’angoscia sento la mano di mia mamma sulla testa e la sua voce che mi dà forza e tranquillità».
Un’urgenza presente
La storia di Bagdadi è dura e singolare: a cinque anni è stata costretta ad abbandonare la Siria a causa delle persecuzioni antisemite ed è entrata illegalmente in Palestina. È cresciuta da sola in un kibbutz in Israele, un’esperienza comunitaria da cui è nato il libro A piedi scalzi nel kibbutz, e si è infine trasferita in Italia dove è diventata psicanalista e scrittrice. Il suo libro Mamma Miriam è dedicato alla propria esperienza personale e all’importanza della figura materna. «Quando mi sentivo sola immaginavo di avere la mia famiglia intorno a me. Mi portavo dietro un mondo interiore che non mi abbandonava mai». È stata proprio la solitudine a forgiare il suo carattere e a segnare il suo destino professionale. «La solitudine è un’esperienza necessaria nella vita di una persona. Può essere una solitudine creativa, in cui adulti e bambini si ritirano per riflettere. Quella pericolosa è invece la solitudine priva di affettività che taglia i legami con il resto del mondo e che divora dall’interno».
Immaginando il suo futuro, Bagdadi ha deciso che quando arriverà il momento si ritirerà in una casa di riposo. «Sono sempre stata una donna autonoma, per questo non voglio pesare sulle spalle dei mie figli. Mi sceglierò una struttura accogliente e attenta all’aspetto umano, come la casa di riposo ebraica che descrivo nel mio ultimo libro, dove si rispettano le feste e si organizzano eventi. Prima di allora, però, spero che qualcuno raccoglierà la mie idee e promuoverà una nuova sensibilità verso gli anziani e i bambini. Perché non è un’urgenza futura, è già presente».
Foto Ansa
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