«L’Arabia Saudita cambia. Speriamo lasci presto libertà ai cristiani»
L’apparenza del nome non deve ingannare: monsignor Aldo Berardi è francese ma parla benissimo l’italiano, visto che la sua famiglia è originaria di Bovino, in provincia di Foggia. Una vita dedicata al mondo arabo, il 28 gennaio 2023 papa Francesco lo ha nominato vicario apostolico dell’Arabia settentrionale e da allora monsignor Berardi si occupa dei due milioni di cattolici presenti in Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita. La nomina è arrivata in un anno molto speciale, visto che nell’ottobre 2023 si è aperto in terra araba il Giubileo: la Chiesa cattolica celebra infatti il 1500° anniversario del martirio dei santi Areta e compagni, uccisi a migliaia durante una persecuzione anticristiana nel 523 a Najran, nell’Arabia dell’epoca preislamica.
A quel tempo il re di Himyar (attuale Yemen), Dhu Nuwas, iniziò a perseguitare i cristiani perché si convertissero. Dopo aver conquistato Najran ordinò che sacerdoti, diaconi, suore e laici venissero gettati in una fossa e bruciati vivi. «Sant’Areta aveva allora 95 anni e spronò i suoi compagni a restare fedeli a Cristo e alla Chiesa», spiega a Tempi il vicario apostolico a margine del suo incontro al Meeting di Rimini. «Questo Giubileo invita tutti noi cattolici in terra araba a offrire oggi lo stesso esempio di sant’Areta».
Monsignor Berardi, come hanno accolto i suoi fedeli questo Giubileo?
È stato un evento davvero importante, perché ha fatto ricordare a tutti, musulmani e no, che i cristiani vivevano in questa terra un secolo prima della comparsa dell’islam e che il monoteismo non era certo nuovo nella regione prima dell’arrivo del profeta Maometto. Si pensa sempre che prima della fondazione dell’islam non ci fosse niente in questa regione, ma non è così. Qui i cattolici sono tutti migranti, arrivano nei paesi arabi per lavorare, ed è stato un momento di scoperta e di gioia per loro.
Da dove nasce la gioia?
Dalla consapevolezza che siamo eredi di questi martiri. Questo Giubileo ci dà il coraggio di restare fedeli e di testimoniare che siamo cristiani, se non verbalmente viste le restrizioni a cui siamo sottoposti, almeno nella pratica quotidiana della fede.
Che cosa la colpisce delle sue nuove comunità?
Nei paesi del Vicariato viene gente da tutto il mondo per lavorare. Di conseguenza, qui i cattolici hanno tutti origini diverse e pregano secondo riti diversi. Le chiese sono sempre strapiene, molto più che in Occidente, ed è un continuo susseguirsi di messe, preghiere, rosari, adorazione eucaristica. La difficoltà, ovviamente, è mantenere l’unità in tutta questa diversità: ma non è certo una sfida nuova per la Chiesa cattolica universale.
Aprendo il Meeting di Rimini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa ha detto che il dialogo interreligioso dovrebbe essere «meno di élite e più delle realtà del territorio». A cinque anni dalla firma della Dichiarazione di Abu Dhabi, il dialogo quotidiano tra fedeli di religioni diverse è migliorato?
Questo è sempre il problema del dialogo interreligioso: i responsabili si incontrano, parlano, scrivono, cercano punti in comune e poi concretamente si vede poco. Il dialogo della vita è molto più difficile. Ovviamente nei paesi islamici di tradizione forte questo dialogo della vita è quasi impossibile, ma come dico sempre dobbiamo insistere nel dare l’esempio con la nostra vita, attraverso l’onestà, seguendo i nostri valori e pregando. Così possiamo interrogare i musulmani.
L’Arabia Saudita sta davvero cambiando, come sembra?
Mohammed bin Salman, il principe ereditario, vuole che il paese cambi e del resto il 70% della popolazione è giovane, aperto ai mass media e tantissimi, per volere del defunto re Abdullah, hanno studiato all’estero. Il cambiamento è reale e sarà difficile tornare indietro. Noi ovviamente speriamo che l’aspetto religiosa seguirà.
In che modo?
Non sappiamo né come, né quando ci daranno libertà di culto. Magari permetteranno di costruire una chiesa? O ci daranno una sala da affittare? O lasceranno solo la possibilità di pregare in casa? Per i cattolici, oltretutto, libertà di culto significa celebrare la messa e quindi serviranno visti per i sacerdoti. Ma quali visti e per che tipo di presenza? Sarà la Santa Sede a parlare di questi argomenti, che sono delicati visto che l’Arabia Saudita custodisce i luoghi sacri dell’islam e applica la sharia da secoli.
Lei però è fiducioso?
Sì, noi speriamo di ottenere libertà di culto. Anche perché non vogliamo convertire nessuno: ci sono già più di un milione di cattolici in Arabia Saudita. Semmai il problema sarà come organizzare questa libertà: l’afflusso di fedeli sarà enorme, serviranno migliaia di messe. Vedremo che cosa succederà.
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