
L’angelo dimezzato
A Monza, in terra di Brianza, il primo cittadino diessino vede con simpatia l’idea di porre un san Michele arcangelo alto tre metri in una piazza centrale. Monza città longobarda, i Longobardi consacrati al guerresco arcangelo, tutto si tiene, radici antiche e “valori cristiani”, e insomma in piazza un san Michele ci starebbe proprio bene, non fosse che per un particolare: la spada. Quella spada, che da sempre peraltro il messaggero di Dio brandisce, disturba il sindaco Ds. La spada in questione appare, purtroppo, guerrafondaia, non pacifista, e forse anche scarsamente democratica. Dunque, l’arcangelo comparirà sì nel cuore della città, ma opportunamente disarmato. «è un simbolo ecumenico che piacerà a credenti e non», ha dichiarato il primo cittadino, soddisfatto. Mah. Ci consenta, il sindaco ecumenico, di dubitare di questo suo fanciullesco entusiasmo. Intanto san Michele, principe degli angeli, è uno che ha ben più di duemila anni di storia alle spalle, comparendo già nell’Antico Testamento. E, da sempre, è raffigurato come guerriero, quindi con una spada in mano. Per gli Ebrei è il capo supremo dell’esercito celeste, il suo nome, Mi-Ka-El, è un grido di battaglia: «Chi è come Dio?». Nel dodicesimo libro dell’Apocalisse, poi, è il vincitore dell’ultima battaglia contro Satana: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero, e non ci fu più posto per essi in cielo».
Dunque, Michele è nella tradizione cristiana il combattente per eccellenza, quasi il braccio armato di Dio, nel momento feroce e ultimo della lotta contro il male. Nella storia infatti il culto dell’arcangelo risorge nei momenti degli assedi barbarici, delle pestilenze, là dove la morte si para davanti massiccia al popolo – che cerca un protettore che gli salvi la vita, le armi in pugno. Il popolo che per secoli lo invoca nelle chiese: «San Michele, difendici nel combattimento, affinchè non periamo nel giorno del tremendo giudizio». (Dove il combattimento è anche lotta interiore contro il male quotidiano – quando ancora ci si ricordava che il male esiste). Questo voleva dire la spada dell’arcangelo, spesso posto sui campanili delle chiese: a sorvegliare, vigile, dall’alto, i paesi e i campi. Un guerriero, là dove si sapeva che, anche in pace, ogni giorno è comunque una battaglia.
Ma ora il sindaco di Monza spiega che non va bene, che è più “ecumenico”, l’angelo disarmato e imbelle. Cosa gli metterà in mano, al posto della spada? Una bandiera arcobaleno? Oppure, il nulla, lasciandolo così, in un gesto vuoto, il braccio a mezz’aria? «Non fate la guerra, fatevi il tè», è lo slogan dei pacifisti inglesi su cui infierisce Andrè Glucksmann.
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