Laici, perché cristiani (o dell’Occidente)

Di Castagneto Pierluigi
06 Dicembre 2001
Alle radici della nostra storia. Quando il Papa andò da Pipino, volse le spalle all’Impero Bizantino e scelse i barbari Franchi. Fu la scelta occidentale, avvenuta 1300 anni fa, fatta dalla Chiesa cattolica per preservare quella libertà che non avrebbe barattato nemmeno per tutti i suoi possedimenti di Pierluigi Castagneto

Alla fine di quel viaggio la delegazione romana guidata dal papa Stefano II era davvero stremata. Partito da Roma alla metà di ottobre, il gruppo era giunto a Pavia dove la sosta era stata lunga e infruttuosa dato che il re dei Longobardi, Astolfo, non aveva voluto ricevere né il pontefice, ne i suoi ambasciatori. Quelle gelide giornate del principio di gennaio certo non facilitavano il cammino che seguiva le strade verso Nord, verso il cuore del regno dei Franchi, rimasti fedeli alla dottrina cattolica e ai successori che erano stati eletti sul soglio di Pietro sin dai tempi di Clodoveo.

L’incontro decisivo

A rincuorare le speranze del papa si verificò l’incontro a Saint-Maurice con l’abate Fulrad dell’abbazia di Saint-Denis e con il duca Rothard. I due alti dignitari anticiparono le ottime intenzioni che il re Pipino dimostrava, per la verità da diversi anni, nei confronti della corte papale. L’incontro, nella corte regia di Ponthion, a poche miglia di Chalons, il giorno dell’epifania del 754, con il figlio undicenne di Pipino, Carlo, rafforzò le speranze del Papa. Anche Pipino il Breve si avviò ad accogliere l’illustre ospite, si inchinò, prese per le briglie il cavallo del papa e lo condusse a palazzo. Memore, il figlio di Carlo Martello, che appena tre anni prima, papa Zaccaria, lo aveva legittimato sul trono. Pipino si era rivolto al papa per chiedere se fosse lecito o meno sostituire all’ultimo inutile rappresentante di una monarchia dissoluta e senza potere (il re merovingio Childerico III). La risposta pontificia dichiarava che l’assenza del sovrano turbava l’ordine del cosmo e che essendo necessaria la presenza di un re, il titolo spettava a chi agiva da re. Nei fatti la Chiesa romana, dopo un lento percorso, ma incalzata dagli avvenimenti, stava volgendo le spalle all’Oriente bizantino, scegliendo i Franchi come interlocutori privilegiati. Sceglieva l’Occidente, il barbaro Occidente, mentre i bizantini si radicalizzavano sempre più sulle posizioni orientali. Non fu una scelta ideologica, ma dettata dall’esigenza di difendere quella libertas ecclesiae, che né a Costantinopoli, né tra i Longobardi era più garantita.

Iconoclastia e libertà

Dall’altra parte del mondo, a Costantinopoli, sulla costa asiatica del Bosforo, un mese dopo, il 10 febbraio, nel palazzo imperiale di Hieria, iniziava il concilio della Chiesa bizantina che avrebbe sancito la dottrina iconoclasta. Voluto da Costantino V, figlio di Leone III, il Basileus che aveva salvato l’impero dagli Arabi, il concilio che vide la partecipazione di 338 vescovi, sancì la dottrina secondo cui «Cristo non può essere rappresentato» e attraverso alcuni cavilli arrivò a dichiarare che i sostenitori delle immagini cadevano fatalmente nell’eresia monofisita e nestoriana. Si sosteneva che nell’immagine o si vedeva rappresentata la sola natura umana, dividendo come i nestoriani, le nature inseparabili di Cristo, o si considerava rappresentata nell’immagine anche la natura divina, fondendo come i monofisiti le due nature che invece restano distinte nell’unica persona. L’imperatore che si considerava il capo della Chiesa e pari degli apostoli, si sentiva autorizzato a intervenire come i suoi predecessori sulle questioni dottrinali. Così facendo si avvicinava ai vicini arabi che, iconoclasti per il dettame del Profeta, erano stati a un passo da far scomparire dalla storia la seconda Roma. Il Pontefice romano, oltre alle preoccupazioni derivanti dalle eresie bizantine che tendevano sempre più a negare o a ridurre l’incarnazione di Cristo, portava con sé, sulle rive della Marna, anche tutti i timori di una situazione politica italiana precaria. Nel 751 era caduto con Ravenna l’ultimo lembo dell’esarcato e la presenza bizantina in Italia centrale era scomparsa per sempre; tale fatto aveva dato ulteriore impulso alle pretese longobarde sul ducato di Roma. Oltre alla minaccia del re longobardo Astolfo su Roma, si cominciavano a sentire gli effetti della sottrazione al patriarcato romano delle province grecizzate dell’Italia meridionale (Calabria e Sicilia). L’atto attribuito recentemente a Costantino V e risalente al 752-753, stabiliva in pratica che i beni del pontefice passassero sotto il fisco bizantino. Così la Chiesa, che deteneva tale patrimonio con l’obbligo di fornire servizi per conto dello Stato, perdeva la sua presenza economica nell’ambito bizantino.

La consacrazione di Pipino il Breve

I mesi successivi all’Epifania del 754 ci fu un susseguirsi d’incontri ed è molto probabile che in questo lavorio diplomatico intervenne S. Bonifacio, il grande apostolo dei germani, fondatore dell’abbazia di Fulda, che, nominato arcivescovo di Magonza e nello stesso tempo legato papale, era una delle figure ecclesiastiche più in vista del regno dei Franchi. Morì martire per mano di un gruppo di fanatici pagani proprio quell’anno, mentre il 5 giugno si era recato nella Frisia centrale, nell’esercizio del suo mandato episcopale, per cresimare un gruppo di neofiti. Stefano II risiedette a Saint-Denis e nel giorno di Pasqua partecipò con Pipino il Breve ad un’assemblea dei grandi del Regno a Kiersy nei pressi di Laon, dove il re fece approvare la decisione di muovere guerra ai Longobardi. Non ci sono giunte le varie clausole dell’accordo, ma sembra che vennero date precise garanzie al capo della Chiesa romana riguardo i territori di Roma, Ravenna, parte del Veneto, l’Istria e sull’autonomia dei ducati di Spoleto e Benevento. A luglio inoltrato, prima che il re muovesse con l’esercito verso il Moncenisio, Stefano a Saint-Denis consacrò re Pipino e i figli Carlo e Carlomanno. L’atto dell’unzione era già stato fatto da S. Bonifacio nel 751 dopo il quesito a cui papa Zaccaria aveva risposto «ut melius esset, illum regem vocari, qui potestatem haberet». Ma questa volta il sovrano franco ottenne il titolo di defensor ecclesiae a cui si aggiungerà con il figlio Carlo quello di Dei gratia rex. Con gli avvenimenti del 754, che non possono essere visti senza tenere d’occhio la grande incoronazione imperiale di Carlo nella notte di Natale dell’800 nella basilica vaticana, il quale, secondo l’epitaffio del cronista Eginardo, fu «principe immune da eresia», nasceva, assieme alla Respublica Christiana, l’Occidente.

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