L’affezione non è un’onda

Di Persico Roberto
20 Settembre 2001
«Chi mette mano all’aratro e poi si ferma a guardarsi indietro non è degno di me».

Luigi Giussani, Affezione e dimora, 502 pp. Rizzoli, “I libri dello spirito cristiano”, lire 19.000

«Chi mette mano all’aratro e poi si ferma a guardarsi indietro non è degno di me». Don Eugenio, bergamasco purosangue trapiantato a parlare di Cristo nelle steppe del Kazakistan, ci ha recentemente ricordato che il monito terribile di Gesù descrive esattamente la situazione degli uomini di oggi: sono capaci di impeti, di slanci anche generosi, ma sembrano indeboliti nella possibilità di un’affezione duratura, fedele. «Sulla nostra affettività che cosa possiamo costruire di stabile, di sicuro? Che conto si può fare sulla fedeltà, sulla lealtà?» È la domanda intorno a cui si snodano i dialoghi di questo quinto volume delle “Quasi Tischreden”, collana che raccoglie le conversazioni di don Giussani con un gruppo di laici consacrati. È la grande questione della fedeltà alla vocazione, con cui tutti, padri e madri di famiglia, consacrati, preti e suore, dobbiamo fare i conti nel momento in cui il fascino dell’inizio sembra dileguarsi e il mondo irride al sacrificio e insinua il suo carpe diem. Il problema allora – spiega don Giussani – non è non essere attirati da altro, perché «tutto ciò che è evidente – e perciò porta a galla il mistero dell’Essere – ha sopra una colla: se tu gli passi vicino, ti attacchi». Il problema è riconoscere che uno ha uno scopo nella vita, e lo scopo è il disegno di Dio. E allora «chi cerca di vivere questo scopo, continuamente strappandosi (il sacrificio) agli incollamenti a cui le evidenze in cui si imbatte lungo il cammino lo provocano, nonostante tutti gli strappi che sembrano sanguinare, costui giungerà alla gioia. Non nell’altro mondo, ma in questo mondo». Perché «è il disegno di Dio che implica la felicità del tuo cuore». Allora si incomincia a capire che «l’affezione non è un’onda. L’affezione è l’adesione al vero, il cedere continuamente all’attrazione del vero, l’essere prigionieri del vero, del bello, del giusto. Prigionieri?! Seguaci!» Per cui «ciò che uno ama realmente e giustamente, lo ama per sempre; se incomincia, lo ama per sempre».

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.