
La vittoria di Mel
Sabato 28 febbraio mi trovo a New York insieme a Giovanni, un amico che vive nella Grande mela e lavora al Columbia Hospital, e altri 30 suoi amici che fanno l’università. Abbiamo deciso di andare a vedere “The Passion of the Christ”, l’ultimo film di Mel Gibson. In questi giorni in America non si fa altro che parlare di questo film. E la questione di cui si discute, come in Italia, è se Gibson ha voluto fare un film antisemita o no.
Alle 10 di sera siamo seduti su comode poltrone all’interno del cinema. La sala è stracolma, soprattutto ragazzi. Prima dell’inizio del film scorrono alcune pubblicità e alcuni trailer; il clima è quello da film: brusio, pop corn e Coca Cola. Alle 10.15 ha inizio la proiezione di “The Passion”. Cosa colpisce?
La storia
Il film raffigura la Via crucis, una fedelissima ricostruzione delle ultime ore di vita di Gesù Cristo: dall’orto degli ulivi fino alla resurrezione. In ogni scena c’è una maniacale preoccupazione che tutto risulti concreto, umano, non sentimentale. La sofferenza: Gesù viene pestato, frustato, inchiodato nei modi usati con i peggiori assassini. In alcune scene viene da chiudere gli occhi. La recitazione: gli ebrei parlano aramaico, i romani latino, sembra di ascoltare il Vangelo raccontato da qualcuno.
La Madonna
Maria, insieme a Gesù, è la protagonista di questo fatto storico. Sempre sorretta da Maria Maddalena e Giovanni, accompagna Gesù senza mai lasciarlo solo: soffre e il suo viso si consuma con il passare del tempo vedendo suo figlio morire, ma rimane sempre serena e certa che tutto questo è per il bene. Guardandola sembra di sentire le parole di Peguy: «Lei piangeva, piangeva, era diventata così brutta. In tre giorni. Era diventata spaventosa. Spaventosa da vedere. Così brutta, così spaventosa. Che ci si sarebbe burlati di lei. Sicuramente. Se non fosse stata la madre del condannato».
Ad un certo punto Gesù cade e lei tenta di sorreggerlo, di starle vicino, come quando era bambino e ogni tanto, giocando, cadeva.
La conversione
Il soldato romano, uno dei carnefici di Gesù, durante la salita al Golgota rimane colpito da Maria che cerca di sorreggere suo figlio e chiede ripetutamente chi sia quella donna finché non trova la risposta. Sul Golgota è di guardia alla croce e quando Maria gli si avvicina subito la lascia passare. Poi davanti a lei si rifiuta di rompere le gambe a Gesù e dopo averlo trafitto per controllare se è morto, scappa disperato.
Simone il Cireneo non vuole portare la croce, viene obbligato dai soldati. Porta la croce insieme a Gesù e, arrivati sul Golgota, non riesce a distogliere da Lui lo sguardo, non sa cosa fare, non lo vuole abbandonare.
I segni e i ricordi
Durante la salita al Golgota Gesù, vedendo l’acqua e poi il sangue, ricorda due momenti salienti della sua venuta: la lavanda dei piedi e l’ultima cena con gli apostoli, dove ricorda che ciò che li salverà è la loro amicizia.
Tutti i personaggi che durante la passione si compromettono con Gesù ne rimangono turbati.
Il finale
Cristo risorge e vince il demonio. Il film finisce e la sala si svuota in silenzio, sembra di essere in chiesa.
La vittoria di Gibson
Mel Gibson con questo film ha fatto una cosa grandiosa: ha posto Gesù Cristo al centro del mondo. E ha vinto perché tutti ne parlano e tutti lo vanno a vedere.
Domenica 29 febbraio, sono sulla Sesta strada in attesa di un taxi che mi porti all’aereoporto. Davanti a me c’è la sede della Cnn. In alto scorrono a caratteri cubitali le notizie del giorno. Una su tutte: “The Passion” in cinque giorni ha incassato 117,5 milioni di dollari, è record. Gibson vince.
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