
La storia si ripete
Si fa in fretta a dire che non si può fare di tutta l’erba un fascio, che alla fine generalizzare è sbagliato nella stessa misura in cui lo è – o lo può essere – il vizio che in quel modo si vuole stigmatizzare: fatevi un giro a scuola, qualsiasi scuola, e poi parlate. Noi l’abbiamo fatto, siamo tornati nel nostro liceo di tanti anni fa e al netto dei professori cambiati e della moda che alla fine muta e segue sempre il suo corso, abbiamo trovato tutto uguale. I manifesti che ieri ornavano fieri l’atrio denunciando la militarizzazione della società, il genocidio dei palestinesi o lo scandalo dell’agibilità fisica riconosciuta ai “fascisti” (il termine va virgolettato per il semplice fatto che all’interno del meraviglioso mondo dell’italica scuola democratica e antifascista esso comprende chiunque non voti a sinistra dei Ds), oggi lanciano anatemi contro la guerra di Bush e Blair, il Muro di Sharon, la controriforma Moratti, il regime di Berlusconi: the same old story direbbero a Londra. Guardi le facce dei ragazzi, cerchi di scrutarne i pensieri e alla fine ti arrendi: sembrano tutti quanti il tuo compagno di banco clonato, anime da collettivo all’ultima ora di lezione, carne innocente da picchetto, silenziosi pretoriani del volantinaggio. Paradossalmente i disinteressati, quelli che pensano poco alla scuola ma meno ancora alla “politica” ti risultano i più simpatici, o quantomeno quelli su cui riporre qualche speranza: certo rinchiudere il mondo nei ristretti confini di un paio di jeans di marca o nella carenatura dello Scarabeo non sarà il massimo ma nemmeno gridare “fascista!” a un bidello che non vuole farti entrare se sei in ritardo depone a favore di una crescita equilibrata. Anzi. è così, non cambia e non cambierà nulla fino a quando ci saranno docenti come quelli del liceo scientifico “Leonardo da Vinci” di Milano, talmente democratici da punire con un quattro meno il compito di una ragazza che al tempo del governo dell’Ulivo aveva osato non demonizzare il buono scuola. Titolo del tema? “Il governo italiano si è recentemente appellato alla Consulta sulla questione dei buoni scuola chiedendone l’illegittimità. Esprimete una vostra valutazione”. Motivo del votaccio? Diffusa presenza nello scritto di errori di grammatica. Peccato che questi errori non ci fossero o che, quantomeno, non fossero di grammatica: la ragazza, infatti, andava solo rieducata alla scuola del pensiero unico, scuola che non prevede troppa severità per i congiuntivi ma che si rivela impietosa per quanto riguarda l’”ortodossia“. E che dire di un mondo, quello della scuola, dove si scende in piazza aprioristicamente contro la riforma Moratti, mobilitando truppe cammellate di pensionati Cgil e under 10 vestiti come piccoli kamikaze di Hamas e dove un ragazzo, normale, tranquillo, si vede prendere a schiaffi perché distribuisce volantini non in favore del ministro ma in favore della verità riguardo quanto si sta facendo? è successo a Milano, due mesi fa: non ne ha parlato nessuno. Milano sì, la città di questo giornale ma anche la metropoli in cui si scatena un inferno quando un coraggioso assessore provinciale di An attua, nei fatti, quanto i politici romani proclamano solo a parole: intitolare l’auditorium del liceo classico Carducci, appena restaurato, a Sergio Ramelli, lo studente di destra ucciso a Milano nel 1975 da un commando di Avanguardia operaia. Ecco il comunicato del comitato centrale, ovvero dei docenti dell’istituto: «Lo ha deciso la Provincia, proprietaria dell’immobile. Senza interpellarci. L’assessore provinciale Paola Frassinetti ha deciso, senza consultare nessun organo della scuola, di intitolare l’aula magna a Sergio Ramelli. È inaccettabile, sul piano del metodo, che tutta la comunità scolastica venga ignorata. La scelta di questo nome è una pura strumentalizzazione politica». Più che altro è inaccettabile la malafede di chi non ha il coraggio di dire, chiaro e tondo, che a un ragazzo di destra morto per mano dell’Hazet 36 di qualche sincero democratico che circola tronfio per feste di partito le aule scolastiche non si intitolano: siamo, ancora, all’inagibilità. Non solo politica, ma fisica, morale, culturale. D’altronde i profeti delle spranghe di allora hanno cambiato pelle, ma non logica, oggi giustiziano il nemico con le idee: Gino Strada, incarnazione stessa della bontà mediatica, negli anni “formidabili” guidava infatti il servizio d’ordine del Movimento Studentesco alla facoltà di medicina della Statale di Milano. Era il luogotenente di Luca Cafiero, già deputato del Pci e oggi rispettato docente di filosofia: le “caramelle” e la “penna”, rispettivamente i sanpietrini e la chiave inglese nel gergo anti-intercettazione, erano i più fedeli strumenti di lavoro di “mister Emergency”, paradigma tragico di un’utopia che uccide in forme diverse senza che l’opzione violenta debba rappresentare per forza una morte peggiore.
Tutto cambia affinché nulla cambi, esattamente come per le elezioni universitarie. Gli scorsi 24 e 25 marzo, infatti, gli studenti degli atenei italiani si sono – o almeno avrebbero dovuto e potuto – recarsi alle urne per eleggere gli organismi di rappresentanza interni. Un trionfo della sinistra, ovviamente, anche quando – come alla Statale di Milano – la lista dei giovani vicini ad An sbanca: sui giornali la notizia è una sola, amplificata ad arte, ovvero il plebiscito bulgaro che ha incoronato la lista “progressista” a La Sapienza. Ma se i risultati sono, come sempre, manipolabili a proprio piacimento, la propaganda preventiva ha un’unica chiave di lettura. Bastava farsi un giro, nell’immediata vigilia del voto, sul sito antagonista di Indymedia per leggere tre messaggi-appello di questo tenore. Il primo, una vera chiamata alle armi, lo lancia tale “partigiano Johnny” alle 19.56 del 17 marzo: «Volevo ricordare che: il 24-25 marzo si vota per l’elezione dei rappresentanti degli studenti a tutti i livelli all’Università Statale di Milano. Via ciellini e fascisti dalle nostre università!!!». Rispondono, a stretto giro di posta, i festanti “astensionista” e “universitario”: «Fuori i ciellini e i fascisti dall’università e fuori anche i falsi comunisti! Non un voto alle liste di destra e a quelle di sinistra, astenersi», «E allora chi dovrei votare? Vuoi che teniamo ancora Cl? Sono tre anni che studio alla Statale e mi vien da vomitare… loro sono motivatissimi a votare! Fuori dalla Statale la Cielle-mafia!». Sembrano le accalorate righe di un Camisasca d’annata, ma è la realtà – telematica – di una Milano che abbraccia la primavera del 2004. Viene in mente Soren Kierkegaard quando si parla di scuola: le idee fisse sono come dei crampi a un piede, il rimedio migliore è camminarci su. è vero, ma come fai a camminare sopra idee che non nascono dalla testolina santa di giovani in vena di salvare il mondo partendo dalla T-shirt di Che Guevara bensì dagli eruditi consigli di storici? Ovvero, se diamo veleno come cibo per le menti ai ragazzi, cosa speriamo che digeriscano? Fiori freschi? «Chi racconta la storia non può certo prescindere dalla propria storia», scrive il professor Augusto Camera, rivendicando la sua vita di intellettuale azionista e poi comunista. La sua dichiarata ascendenza azionista, più ancora che marxista, merita qualche considerazione sull’inclinazione di molti intellettuali italiani, non solo gli autori di manuali scolastici, a farsi zelanti custodi del retto pensare e agire politico. Lo si avverte, ad esempio, nel giudizio del suo libro di storia edito da Zanichelli a proposito di Silvio Berlusconi: una sorta di “fastidio” per un politico sprovvisto della necessaria patente progressista. Lo schema è fisso, progresso e reazione: ciò che non si ascrive al primo, va bollato con la seconda. Non funziona più in politica, continua a funzionare nei libri di scuola. Per capirci, è una sorta di religione civile, fortemente connotata in senso etico da valori come l’onestà, la coerenza, l’impegno educativo. Cose ottime, ma come tutte le religioni anch’essa possiede i suoi dogmi e il proprio moralismo e i suoi peccati specifici. Anatemi che poi scendono giù, a cascata e senza più il freno dell’accademia, nella manualistica. Così una certa manualistica, animata dall’imperativo di educare i ragazzi alla corretta interpretazione della realtà, dispone le cose con abbondante faziosità. Qualche esempio? Bene, scomodiamo i già citati Zanichelli e il manuale dei manuali, il Camera-Fabietti, citando pedissequamente la radiografia che di essi ha fatto il quotidiano Il Foglio. «Le sorti del Pci, d’altra parte, hanno un’importanza fondamentale per il rinnovamento del paese: per molti decenni, infatti, la democrazia italiana soffrirà di una grave anomalia, in quanto i milioni di votanti per il Pci saranno e si sentiranno esclusi dal potere non solo dai voti espressi dalla maggioranza degli italiani ma anche dai veti americani e cattolici, non privi di serie motivazioni ma incompatibili con un’autentica vita democratica» (pag. 1638). «Togliatti è un sagace innovatore: lo dimostra sin dal marzo 1944» (pag. 1640). Titolo di capoverso: “Gladio e connivenze fascistoidi”. «Così tra Gladio, i servizi segreti deviati, gli ambienti fascisti e perfino gli ambienti del terrorismo nero si poteva facilmente stabilire, e si stabilì effettivamente, una più o meno organica solidarietà. Per questo insieme di circostanze, le virtualità fortemente innovatrici della Resistenza furono in parte frustrate, e attraverso un processo graduale finì con l’imporsi una certa continuità, anziché una radicale rottura, del nuovo sistema col vecchio» (pag. 1641). «Al terrorismo nero si salda presto il terrorismo che si dichiara “rosso e proletario”, ma che in realtà matura in ambienti universitari e piccolo borghesi e consegue, oggettivamente, gli stessi risultati del terrorismo nero. (…) Si potrebbe anzi formulare l’ipotesi che il terrorismo sia da interpretare più con gli strumenti della psicologia che con le categorie storiografiche e sociologiche» (pag. 1663). Come prima, più di prima.
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