La Storia passa sempre dai Balcani
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Lo scorso 28 aprile, il parlamento del Montenegro ha votato l’ingresso della piccola repubblica balcanica nella Nato. Si tratta di una decisione di notevole importanza. A Podgorica c’è grande fermento. L’assemblea legislativa ha fatto questa scelta, sollecitata dal governo, nonostante tutti i sondaggi certifichino che oltre il 55 per cento della popolazione è contraria all’adesione all’Alleanza Atlantica. Secondo il parlamentare serbo Jovan Palalic, segretario generale del Partito popolare serbo ed esperto di geopolitica, contattato da Tempi in occasione di una sua recente visita a Roma dove ha tenuto una lezione presso la Società Geografica Italiana, «Mosca è molto preoccupata, perché questa decisione altera completamente l’assetto strategico dell’Adriatico e dei Balcani. Va sottolineato il fatto, passato sotto silenzio, che l’apertura nei confronti dell’ingresso del Montenegro nell’alleanza è stata la prima presa di posizione dell’amministrazione Trump in inversione di tendenza rispetto alla linea tracciata durante la campagna elettorale. Prima dell’attacco missilistico alla Siria».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]In effetti, nella prima settimana di aprile il Senato di Washington ha espresso parere favorevole all’eventuale adesione montenegrina, anche grazie ai voti dei senatori trumpisti, inizialmente contrari.Palalic, che non nasconde le sue simpatie filo-russe, ha dato sulla vicenda un giudizio lapidario: «Ora la Serbia è letteralmente accerchiata. I giornali e i politici filo-occidentali sono scatenati: sostengono che oramai anche il nostro ingresso nella Nato è inevitabile, ma la gente non è d’accordo, non ha dimenticato quanto ci è stato fatto con i bombardamenti del 1999».
Palalic dice la verità. A questo ragionamento, però, bisogna aggiungerne un altro. Difficilmente Mosca potrebbe accettare supinamente la sua totale estromissione dallo scenario balcanico, rinunciando al suo unico partner militare nell’area. Questo a Belgrado lo sanno bene ed è per questo che la Serbia da anni si muove con grande misura e attenzione nei rapporti con Ue, Nato e Russia, provando a mantenere un drammatico equilibrio.
A complicare ulteriormente la situazione nell’area c’è anche la Turchia, che non ha rinunciato al suo disegno geopolitico neo-ottomano. L’approccio di Erdogan non incide, infatti, solo sullo scacchiere mediorientale, ma anche sui Balcani. Da tempo Ankara si propone come partner privilegiato non solo della Bosnia Erzegovina, ma anche dell’Albania, fidando nella comune appartenenza alla religione islamica. Oggi una delle armi di pressione preferite dal governo turco è rappresentata dai profughi siriani, che dopo essere affluiti a centinaia di migliaia lo scorso anno attraverso la rotta balcanica, determinando l’esasperata reazione degli Stati vicini, sono oggi bloccati nei campi profughi in Anatolia, grazie ai salatissimi accordi intercorsi tra l’Unione Europea e la Turchia. Secondo Palalic «il problema è che in qualunque momento Erdogan potrebbe decidere di riaprire il corridoio balcanico. Il riavvicinamento con Trump potrebbe preludere ad una simile decisione. C’è chi ha interesse a destabilizzare ulteriormente i Balcani».
Giocare altre partite
La situazione è molto caotica: in Macedonia, per esempio, nodo logistico cruciale per tutte le grandi infrastrutturazioni internazionali che verranno realizzate nell’area (ferrovie e gasdotti), è andata al governo una coalizione sostenuta da Nato ed Ue, formata da socialisti e partiti albanesi (minoranza molto numerosa) che ha in programma una riforma costituzionale in senso federale che prevede una sostanziale equiparazione tra le due etnie presenti, quella slava e quella albanese. «Tirana appoggia questo progetto – dice Palalic – perché lo vede come il primo passo verso la costruzione della Grande Albania, che prevede la successiva annessione del Kosovo. La Turchia sostiene esplicitamente, in nome della fratellanza musulmana, questo processo e l’Occidente considera l’Albania il suo principale alleato nei Balcani. Per noi serbi, però, tutto questo è inaccettabile».
Inoltre, mentre è tutta da verificare la linea che assumerà la nuova maggioranza al governo in Bulgaria, nazionalista e filo ortodossa, in Croazia il quadro politico è stato scompaginato dalle dimissioni di tre ministri e difficilmente la crisi della maggioranza potrà essere risolta in tempi brevi. «A Zagabria – ha affermato il parlamentare serbo – è in atto una dura competizione tra tedeschi e americani, che produce un conflitto interno. La situazione è pericolosa, perché la Nato spinge la Croazia ad assumere atteggiamenti aggressivi nei nostri confronti, come la chiusura delle frontiere in occasione della crisi migratoria, per esercitare pressioni che ci inducano a porre fine alla nostra partnership militare con la Russia».
Dalle parole di Palalic risulta evidente la sindrome da accerchiamento che si vive a Belgrado e la rabbia nei confronti dell’Europa che, sebbene cristiana, si mostra ostile nei confronti dei serbi, offrendo in più aiuto e appoggio a paesi musulmani. La diagnosi è inquietante: «Le pressioni a cui siamo sottoposti, volte a scardinare la presenza russa nei Balcani, potrebbero scatenare un conflitto a intensità più o meno bassa. È come se qualcuno volesse creare una zona totalmente destabilizzata a ridosso dell’Unione Europea, simile a quella siriana, dove giocare altre partite, agendo per procura, proprio come in Medio Oriente. Tutto questo è molto grave». Grave e, in parte, già visto. Non sarebbe la prima volta che la Storia passa per i Balcani.
Foto Ansa
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