
La scuola è finita, andate in pace(ovvero di una proposta per un Italian Guy Pride)
L’anno scolastico si sta chiudendo tra manifestazioni e scioperi degli insegnanti e con l’annunciato blocco degli scrutini dal 12 al 16 giugno. Probabilmente le ragioni di questo disagio sono più profonde di quanto non emergano dai cortei e dalle cronache dei giornali e raccontano del malessere di una categoria di docenti che tra riforme, circolari e nuove direttive ministeriali sembrano non riconoscere più la propria fondamentale funzione di formare e istruire le nuove generazioni.
Per capirci di più abbiamo interrogato quattro docenti di scuola superiore, di estrazione culturale diversa ma uniti da una lunga esperienza di insegnamento impegno: Paolo Aziani, professore di italiano e storia al liceo scientifico-tecnologico di Abbiategrasso e autore di manuali di storia e geografia per le scuole superiori e medie; Luca Lattanzi, insegnante di lettere al liceo scientifico di Vimercate impegnato nel progetto “Prisma” per la difesa della cultura classica in una scuola sempre più votata a un sapere tecnologico e informatizzato; Gianni Mereghetti, docente di filosofia al liceo scientifico di Abbiategrasso e anch’egli autore di manuali per le medie superiori; Guido Panseri, insegnante di storia e filosofia al liceo Berchet di Milano, da sempre impegnato nella Cgil scuola.
Dunque, cosa sta succedendo tra i professori delle scuole italiane? Gianni Mereghetti: Quello dei professori è innanzitutto un disagio didattico perché nessuno riesce a capire dove ci stia portando questa giostra di riforme. Prendiamo il nuovo esame di maturità: in provveditorato spiegano che l’esame non sarà più impostato sulle conoscenze e le nozioni, ma su competenze e capacità di analisi e sintesi. Per poter preparare i ragazzi all’esame dobbiamo sapere quali conoscenze saranno ritenute fondamentali e in che modo verranno verificate le famose competenze. E i professori che interrogano agli esami devono sapere come verificare queste competenze. In definitiva, si vuole realizzare una scuola delle conoscenze? No, dicono, perché superata. Delle competenze, allora? No, perché senza conoscenze non ci sono competenze. Quindi, noi come ci comportiamo? Paolo Aziani: La frustrazione è figlia della massa di riforme avanzate senza alcuna gradualità e senza spiegare il loro senso complessivo, provocando un senso diffuso di incertezza. Pensiamo agli insegnanti delle scuole medie che sentono dire che la riforma dei cicli forse cancellerà le loro scuole, o forse no: è ovvio che si diffonda un certo disagio. Di questa grande riforma dei cicli sappiamo solo che ridurrà la scuola di un anno. Come, non si sa. Non conosciamo i programmi, i curriculum, i sistemi di raccordo… Una scatola vuota che, se domani cambiasse il governo, potrebbe essere cancellata senza alcun problema. Altro esempio: i programmi di storia. Da un mese all’altro ci hanno detto che bisognava cambiarli per far spazio al 900. Una decisione che ha stravolto di colpo il lavoro in intere classi, magari vicine alla fine del corso di studi. Morale, molti insegnanti hanno disatteso la direttiva per non saltare interi secoli di storia o per non cambiare il testo. Tutto è avvenuto sulla testa degli insegnanti: è inaccettabile, per esempio, che nella commissione dei 40 saggi non ci fosse nemmeno un insegnante in attività. Parlo da elettore dell’Ulivo che credeva nel governo Prodi, ma deluso da Berlinguer e dalla sua riforma.
Luca Lattanzi: Il disagio dei docenti nasce dalla valanga di riforme che piomba loro addosso costringendoli al ruolo di meri esecutori e di burocrati alle prese con direttive e ordinanze ministeriali spesso incomprensibili. Aggiungo un esempio a proposito dell’obbligo scolastico innalzato a 15 anni. Insegno nel biennio del liceo e in classe ho una ragazza che avrebbe voluto fare il corso di parrucchiera, ma frequenta la mia scuola solo perché era la più vicina a casa con l’obiettivo di tirare la fine dell’anno e assolvere all’obbligo. E conosco molti casi simili. Perché allora la riforma dell’obbligo non è stata introdotta insieme al riordino dei cicli? Guido Panseri: Si tratta di un disagio che riguarda il senso stesso della nostra professionalità. E’ un tema che finora, per responsabilità degli stessi operatori, è stato poco trattato, anche nelle sue implicazioni etiche, di responsabilità. Fino a qualche anno fa la nostra identità era legata all’adesione a un sindacato, o per associazione disciplinare. I docenti nelle scuole si differenziano in gran parte ancora perché sono iscritti alla Cgil, piuttosto che alla Uil, allo Snals o ai Cobas, ma l’identità professionale difetta. Invece si tratterebbe di approfondire di legare la nostra identità ad esempio a una definizione di compiti in relazione all’autonomia che altrimenti rischia di ridursi a una forma di retorica, pervasiva, dall’alto verso il basso. La scuola dovrebbe diventare davvero una piazza, un agorà in cui discutere anche le grandi questioni del nostro tempo, senza nessuna preclusione.
Paolo Aziani: La crisi riguarda, in realtà, il senso stesso della scuola. Sembra che lo scopo sia renderla più facile e condiscendente nei confronti dei ragazzi, già iperprotetti e disabituati a confrontarsi con i doveri e le difficoltà. Consideriamo l’abolizione degli esami di riparazione: erano una farsa, ma il sistema dei debiti e dei crediti importato dal sistema americano in Italia è del tutto assurdo. Negli Usa, infatti, non c’è l’unità classe e se uno studente non passa il corso di matematica, l’anno successivo lo rifrequenta. In Italia invece se uno studente di terza ha una grave insufficienza in matematica, passa comunque alla quarta dove segue il corso di matematica relativo pur senza aver appreso quello precedente. Ancora: diritti degli studenti. Sacrosanti, ma non si trova alcun accenno ai doveri. Perciò quest’anno, pur essendo io un vecchio protagonista del movimento studentesco, durante la consueta settimana di occupazione ho continuato a far lezione in modo che i ragazzi fossero consapevoli delle loro scelte sapendo che non erano a prezzo zero, ma comportavano la perdita di lezioni. Ultimo esempio: le domande della terza prova della maturità. Potevano rappresentare un’occasione reale, come nel modello americano, per costruire una prova comune e confrontare i risultati del singolo studente e delle scuole italiane. Invece il ministero ha scaricato l’onere sugli insegnanti lasciando loro il compito di elaborare i quiz, ognuno secondo un suo criterio.
Gianni Mereghetti: E questo indebolisce la figura dell’insegnante. I debiti formativi si riducono ad amnistie di gruppo con corsi di cinque o sei ore e la valutazione del docente perde ogni funzione pedagogica.
Luca Lattanzi: Aggiungerei anche che la scuola si ritrova spesso a supplire alle carenze della famiglia o degli assistenti sociali per cui arriva il ragazzino extracomunitario di 11 anni e, anche se non conosce una parola di italiano, viene iscritto in quarta o in quinta elementare. E il risultato è che molti studenti arrivano al liceo con gravissime carenze nell’uso della grammatica italiana Gianni Mereghetti: Per ora la riforma ha introdotto solo confusione. Autonomia per noi significa semplicemente decidere come gestire le vacanze di Pasqua o di carnevale, ma dal punto di vista didattico non esiste alcuna autonomia.
Un problema di trattamento economico degli insegnanti comunque esiste? Paolo Aziani: Gli insegnanti italiani guadagnano molto meno sia dei colleghi europei, pur con orari e carichi di lavoro simili, sia di ogni altro professionista che dopo 25 anni di attività guadagna molto più dei 2 milioni e sei di un insegnante. A questo si aggiunga che per i docenti non è prevista una carriera che restano semplici insegnanti vita natural durante. Questo, oltretutto non permette di formare quei quadri intermedi di cui la scuola avrebbe bisogno.
Guido Panseri: E’ un problema innegabile: i nostri stipendi sono bassi. Si tratta di trovare una soluzione che tenendo conto della ricchezza o della povertà del paese riesca a coniugare il livello economico con giuste forme di remunerazione. Non sono nemmeno contrario a forme di differenziazione senzaq cadere nella distinzione tra insegnanti bravi e ignorante, i quali a scuola non ci devono essere. Si potrebbe stabilire che alcuni danno alcune ore in più alla settimana per progetti specifici, ovviamente valutati. Non commento invece l’idea di recuperare i finanziamenti necessari con la Ferrari o il Superenalotto: non Mi sembra che la proposta sia stata fatta con ironia e questo preoccupa…
Il sindaco democratico di Milwaukee, negli Usa, ha adottato il buono scuola scoprendo che a trarne i maggiori benefici erano i gruppi sociali più poveri come ispanici e afroamericani. Un principio di concorrenza che forse porterebbe vantaggi tanto agli utenti che gli insegnanti? Guido Panseri: Non si può escludere nulla. Io per certo so che la soluzione adottata con la legge di parità scontenta tutti e non poteva che essere così. Peraltro non è nemmeno priva di contraddizioni: riconosce e non riconosce, rinvia ad altro ciò che invece è essenziale… credo sia stata una soluzione politica nata per sedare le richieste del pubblico privato. Bisognerebbe trovare il coraggio di ripensarci con serietà, senza dire di no a nulla, a partire dai meriti ma anche dalle disfunzioni della scuola pubblica, per vedere come è rimediabile. Io credo nel principio di sussidiarietà: il problema è stabilire i limiti e i confini dei diversi enti in gioco lasciando che ciascuno si apre all’altro. Del resto credo sia poi il destino delle istituzioni politiche della modernità poiché lo stato leviatano è scomparso.
Gianni Mereghetti: Sono favorevole a un sistema di concorrenza, perché in una situazione in cui tutti sono garantiti, tutti restano sempre allo stesso livello. Anche De Mauro sostiene che i migliori vanno premiati, ma chi decide chi sono i migliori? Secondo l’autonomia dovrebbero essere le scuole, ovvero delle commissioni interne, ma in base a cosa? Per quanto riguarda la carriera in Italia sono previste solo funzioni organizzative per attività varie retribuite con 3 milioni lordi all’anno. Si tratterebbe invece di creare funzioni didattiche che riconoscano reali capacità e funzioni come avviene in altri paesi.
Paolo Aziani: I sindacati però, sulla spinta della base, si sono sempre opposti all’introduzione di differenziazione contrattuale. E così, in nome dell’egualitarismo, si è sempre finito per distribuire a pioggia i pochi soldi a disposizione. Io confido nell’autonomia perché possa nascere un sistema di competizione tra le scuole. L’ipotesi di Milwaukee mi pare legata a una realtà completamente diversa dalla nostra e richiederebbe invece il ripensamento dell’intero sistema pubblico italiano permettendo anche ai non benestanti di accedere alle scuole per ricchi.
Il punto quindi è decidere se si vuole realizzare una scuola efficiente che offra un servizio reale, oppure se si preferisce gestire la decadenza della scuola che abbiamo…
Luca Lattanzi: Penso che si sia scelta la seconda strada. Si fa verso una scuola rassicurante che dia un pezzo di carta a tutti lasciando al mondo del lavoro il compito di far la selezione.
Gianni Mereghetti: Un sistema di competizione reale nel quale l’utente possa scegliere tra offerte diverse è possibile una volta fissati dei parametri minimi garantiti. Oggi però non c’è nessun controllo sulle scuole statali…
Paolo Aziani: Gli unici controlli avvengono con gli esami, dove però insegnanti di una scuola verificano il lavoro dei colleghi dell’istituto affianco: si capisce con quale severità! Degli incroci incestuosi, praticamente, come li definisce l’amico Panseri…
Ne esce il quadro di una scuola piuttosto malridotta dove anche i sindacati sembrano aver perso il controllo della categoria…
Guido Panseri: E’ vero, ma l’adesione sindacale nella scuola è assolutamente minoritaria, credo che sommando tutti i sindacati non si vada oltre il 20 o il 30%. Quella della Cgil è stata una politica che ha peccato di astrattezza e ha perso il fiuto della situazione. E’ stato un errore di strategia sindacale: o il sindacato è vita, o si riduce a un ente che offre servizi.
Quale consiglio dareste all’attuale e al futuro ministro della Pubblica Istruzione che verrà nominato dopo le elezioni del 2001? Luca Lattanzi: Di non attuare il riordino dei cicli e di lasciare l’attuale scansione tra scuola elementare, media e superiore. Inoltre di non creare bienni unici, ma differenziare al massimo le superiori in modo che ci sia una scuola per tutti, per il futuro cattedratico come per chi vuole fare il parrucchiere.
Guido Panseri: A De Mauro consiglio la stessa cosa che avrei consigliato a Berlinguer: di innovare la struttura del sistema senza dimenticare che la scuola non è un sistema formale, ma fisico, pieno di anime, di passioni, di corpi, di esperienze. Comincerei a modificare quegli elementi che producono disagio e dolore, evitando riforme a mosaico che mantengono all’oscuro anche chi è in Parlamento, il che non è nemmeno tanto democratico. Oltre che rischioso, perché potrà essere smontata con facilità da qualsiasi governo…
Gianni Mereghetti: Berlinguer ha toccato i due problemi fondamentali della scuola: con la legge sulla parità e quella sull’autonomia, il problema della libertà della scuola; con il riordino dei cicli il tema di che cosa la scuola debba insegnare. Il punto è che l’impianto che ha costruito è insufficiente a rispondere a entrambe le domande.
Paolo Aziani: Io condivido la direzione di marcia intrapresa con l’autonomia scolastica. La riforma dei cicli va invece ripensata progettando l’organizzazione della scuola insieme ai suoi contenuti e obiettivi formativi, non separatamente. Altrimenti non si potrà mai capire se la struttura concepita è adeguata agli scopi. Infine più partecipazione da parte di tutti: la riforma della scuola va fatta davanti al Paese.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!