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La religiosità del bue che depositava in chiesa il suo ricco escremento

Dostoevskij troverebbe conferma del fratello dell’uomo «che lo nutre e lavora per lui, curvo e pensoso». E sì, «tutto è innocente, tranne l’uomo, e Cristo è con il bue prima ancora che con noi»

Luigi Amicone
14/06/2017 - 1:00
Società
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Nome omen, dicevano gli antichi. Forza Italia. Non c’è nome di offerta politica più evocativo, energico, positivo. Volete metterlo in paragone col lambiccato e sbilenco 5 Stelle? Con il banalotto e suffragetto Democratico? O con la Lega, d’accordo, ma lega di che? Del Nord? Non vi sembra un po’ insipido e limitativo? E lasciamo perdere il resto del campo. Progressista, Sel, Articolo 1, Area pop, Ncd eccetera. Tutta cervellotica e niente popolo. È tanto immediato, fresco, duraturo il logo forzista, che il suo creatore, Silvio Berlusconi, può ben sperare, nonostante l’età, il quarto di secolo di cavalcata, le cadute nella polvere, la crisi del personale di rango, il dissolvimento di certe istanze, gli scandali veri e presunti, i risolini delle élite, l’atterramento giudiziario procuratogli dagli avversari, può ben sperare, dicevo, di riacciuffare quel 20 per cento che si è dato come obiettivo per la prossima legislatura. Lo abbiamo ottenuto alle comunali di Milano, il doppio di quel 10 per cento che il Cavaliere incasserebbe comunque, anche se corresse lui solo con il suo agnellino di Villa Gernetto, perché non si dovrebbe riuscire a ottenerlo nel resto del paese, visto che si può dire tutto del capoluogo lombardo tranne che sia una Roma a cielo aperto?

Pensavo a questa cosa in un certo frangente dell’ultimo weekend, trascorso a salutare il mio vecchio in quel di Loreto Aprutino, Abruzzo, paese che ebbe per patrono e ospite a castello nientemeno che il Dottor san Tommaso d’Aquino. E dove nacque ed ebbe dimora la mamma di san Camillo de Lellis. Lo pensavo durante l’episodio culminante della festa più sentita dell’anno, allorché un bue della stazza di dieci quintali, cavalcato da una bambina vestita di pizzo bianco e munita di un vezzoso ombrellino, viene condotto da una coppia di contadini presso la chiesa madre di San Pietro e qui viene fatto genuflettere in devozione alla reliquia del martire san Zopito. Poco importa – anzi, proprio qui sta il bello – che fede e leggenda si mescolino con i riti propiziatori al Dio dei campi e delle messi, qualcuno sussurra, quando Dio aveva nomi che non erano omen ma avevano piuttosto la pregnanza iperbolica di qualità e caratteristiche della vita umana ipostatizzate e sacralizzate dalla immaginazione pagana. Fatto sta che, fino a qualche decennio fa, prima che il gusto del secolo non scadesse nella sentimentale e perciò rachitica divinizzazione di madre natura fatta per escludere Dio dall’orizzonte, il bue entrava in chiesa, si inginocchiava e, talvolta, nella standing ovation del popolo che ci vedeva un segno di buon auspicio per i raccolti, il bue vi depositava il suo ricco escremento. In altre parole, defecava alla grande in un luogo sacro.

Forza Italia, in un certo senso
Già, ma cos’è sacro e cosa non lo è? Qui, alla festa di san Zopito, Dostoevskij troverebbe conferma del fratello dell’uomo «che lo nutre e lavora per lui, curvo e pensoso». Guardi il suo muso e capisci l’esclamazione del russo: «Quanta benevolenza, e fiducia e bellezza nei suoi tratti!». E sì, «tutto è innocente, tranne l’uomo, e Cristo è con il bue prima ancora che con noi». Dopo di che ho pensato a quel naturalista ed ecologista ante litteram che è il famoso professor Vittadini, patron della Fondazione per la Sussidiarietà. Un amico che certamente apprezzerebbe questa festa di iniziazione alla fraternità di tutti – ma proprio tutti – gli esseri della terra. Microrganismi che vivono negli escrementi compresi. Solo gli uomini completamente ottusi dall’indifferenza riescono a perdersi la festa della Creazione. Nel caso in questione, la leggenda narra che quando le reliquie furono traslate in Loreto dalla vicina Penne e il corteo dei fedeli si trovò a transitare per le campagne, vi fu un contadino che, appunto, venne sorpreso in atteggiamento di ottusa indifferenza. Voleva continuare ad arare e non avrebbe mai immaginato che il bue aggiogato si sarebbe inginocchiato in vece sua al passaggio delle spoglie del martire.

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Ecco, io trovo che in un certo senso Forza Italia porti inscritta nel proprio marchio questa benevolenza ancestrale. Irriflessa, ma capace di resistere ai contadini, furbi, ma piegati sulla terra fino all’ottusità rispetto a ciò che unisce gli uomini in profondità. Una positività che ultimamente non può non essere religiosa sebbene impregnata di errori e di peccati. Ora, sebbene gli animali che sono indifferenti a ogni errore, religiosità o peccato talvolta possano sembrare in queste cose perfino più avanti e più perspicaci degli uomini, solo gli uomini capiscono cosa significa tenere aperta la porta fino all’orizzonte.

Non è un caso che, capita l’aria di genuflessione bovina che tira, uno come Berlusconi (che tra l’altro ha un’idea religiosa irriflessa ma indomabile della vita) si sia proiettato con l’agilità di un gatto al centro della trattativa per la legge elettorale. E secondo me non sbaglia a puntare a vincere le elezioni con il 20 per cento di Forza Italia, il 15 di Salvini e il 5 della Meloni.

@LuigiAmicone

Foto Flickr

Tags: diofedeforza italiareligione
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