La possibile pace tra Etiopia ed Eritrea è una grande occasione per l’Italia
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«Etiopia ed Eritrea non sono solo legate solo da interessi economici ma anche dal sangue». Così, con un discorso a sorpresa, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha annunciato pochi giorni fa che Addis Abeba è disposta a mettere fine al conflitto con Asmara, applicando tutte le condizioni contenute nel trattato di pace di Algeri del 2000 e accettando i confini tra i due paesi stabiliti da una commissione dell’Onu nel 2002. «Se davvero non porranno altre condizioni, non vedo come l’Eritrea possa non accettare la pace», dichiara a tempi.it il sacerdote eritreo Mussie Zerai.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] GUERRA LATENTE. L’Eritrea ha ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia nel 1993 ma nel 1998 è cominciata una guerra di confine che ha fatto migliaia di morti. Nonostante il trattato di pace, i due vicini sono sempre rimasti in uno stato di guerra latente, anche se di fatto non combattuta, e il dittatore eritreo Isaias Afewerki ha utilizzato la scusa del conflitto per governare il paese con pugno di ferro, negando ogni tipo di libertà al popolo, tanto che l’Eritrea è considerata la Corea del Nord africana.
RAGIONI ECONOMICHE. Secondo padre Zerai, i motivi che hanno portato l’Etiopia alla svolta sono diversi: «Innanzitutto ci sono ragioni economiche, Addis Abeba non ha uno sbocco sul mare e per importare o esportare merci deve passare dal Kenya o dal Gibuti, dove però i porti sono occupati dalle navi da guerra che fanno aumentare i prezzi dei commerci a dismisura. Ristabilire relazioni economiche con l’Eritrea sarebbe importante, senza considerare che circa 100 mila rifugiati eritrei vivono in Etiopia e ci sono legami di sangue tra i due popoli».
«OPPORTUNITÀ DI PACE». Afewerki ha sempre utilizzata la guerra come scusa per controllare la popolazione e ancora non ha risposto all’offerta etiope: «Il governo ha sospeso la Costituzione e tutti i diritti che garantiva con la scusa della guerra», continua il sacerdote eritreo. «Asmara aveva davvero paura di essere invasa dall’Etiopia all’inizio ma dopo i primi anni, quando si è capito che l’invasione non ci sarebbe mai stata, non ha più avuto ragione di imporre misure così repressive». Padre Zerai pensa al servizio militare, che nell’ex colonia italiana dura a tempo indeterminato: «Ci sono persone che l’hanno cominciato nel 1994 e ancora non l’hanno terminato. Questa è un’opportunità di pace importantissima che non bisogna lasciare cadere».
DRAMMA IMMIGRATORIO. Il sacerdote non pensa che, «una volta caduto l’alibi della guerra, tutto cambierà improvvisamente in Eritrea. Ci vorranno anni perché il regime cambi, ma sarebbe sicuramente un primo passo. Oggi migliaia di eritrei scappano dalla dittatura e dopo un lungo viaggio pieno di pericoli arrivano in Libia, per cercare di raggiungere l’Italia. Il dramma dell’immigrazione, anche in caso di pace, non si risolverà subito. Prima infatti è necessario che venga attuato un vero processo di democratizzazione del paese: in Eritrea non c’è giustizia, non c’è libertà di stampa, parola, movimento, nessuno può autodeterminare il proprio futuro».
RUOLO DELL’ITALIA. Il nuovo governo italiano avrebbe tutto l’interesse a favorire questo processo di pace. Non solo perché, a lungo termine, potrebbe finalmente risolversi il gravissimo problema immigratorio, ma anche perché «il popolo eritreo ha dato tanto all’Italia nella sua storia. Roma ha un debito morale verso il popolo eritreo, che merita di vivere dignitosamente e prosperare nel proprio paese».
OPPORTUNITÀ E COMMERCI. L’Italia, inoltre, è tra i garanti della risoluzione del 2002 e «si è presa un impegno internazionale per garantire la pace nel paese». In più, se l’Eritrea si stabilizzasse «ci sarebbero grandi opportunità commerciali per l’Italia, dal turismo alla cooperazione in diversi settori, come quello energetico. Negli ultimi 40 anni i governi italiani si sono schierati spesso solo da parte di chi sta al potere, ora invece potreste recuperare un rapporto con il popolo eritreo. Se Roma si impegnasse per il bene della gente, questa accoglierebbe a braccia aperte eventuali investimenti italiani in Eritrea».
Foto Ansa
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