La pace per l’Islam

Di Stefanini Maurizio
20 Settembre 2001
È vero che talebani e fondamentalisti rappresentano solo una minoranza nel variegato panorama del mondo musulmano. Ma è altrettanto vero che l’islam crede sinceramente nella pace e nella possibilità di un atteggiamento tollerante nei confronti degli infedeli? Stando alla sua storia e alla sua dottrina giuridica parrebbe che… di Maurizio Stefanini

Islam: significa «sottomissione alla volontà divina», ma anche «pace», «salvezza», «salute dello spirito». E il diritto islamico classico, infatti, contrappone il Dar al-Islam, che è appunto «la Casa di chi si sottomette a Dio», e quindi «la Casa della Pace», la «Casa della Salvezza», al Dar al-Harb, la «Casa della Guerra». In senso lato, perché chi non è in pace con Dio non può essere in pace neanche con se stesso. Ma in un senso più letterale, anche nel senso di terre contro le quali i Veri Credenti hanno il diritto di condurre la guerra santa per sottometterle all’islam. Sottomissione che poi dovrà comportare la scelta tra conversione forzata o la morte per i kafir, «pagani», mentre c’è anche la terza alternativa del pagare un’imposta e accettare uno status di cittadini di serie B per i dhimmi, «protetti». Ovvero coloro che sono in possesso di una parte autentica ma incompleta della Rivelazione monoteista: i cristiani, gli ebrei, gli zoroastriani, i mandei.

Il jihad ammette solo tregue

Partiamo dunque dalla lingua, dal diritto e dalla teologia per affrontare il problema su cui molti riprendono ad interrogarsi dopo la strage delle Torri Gemelle di New York: ma è possibile, alla fine, una vera convivenza tra islam e cristianesimo? In effetti, secondo l’ortodossia islamica la risposta sarebbe: no! Tra il Dar al-Islam e il Dar al-Harb il conflitto è, in linea di principio, irriducibile. Naturalmente, si possono concludere con gli infedeli accordi, così come fece lo stesso Profeta durante la sua vita. Ma l’esito ne è quello che il linguaggio giuridico islamico definisce hudna: «calma», «tranquillità», nel senso occidentale di «tregua». Oppure il sulh, «composizione di una disputa su una proprietà», nel senso di «armistizio». Ovvero: per mia comodità, o perché mi rendo conto che al momento sei il più forte, rinuncio a farti la guerra per dieci, cento, anche mille anni. Ma prima o poi il conto dovrà venire regolato. C’è poi il baqt, dal latino pactus, e che fu il particolare accordo stilato nel 657 tra i conquistatori islamici dell’Egitto e il regno cristiano della Nubia, con cui questa conservava l’indipendenza in cambio di un tributo annuale di schiavi. Fino a quando, sette secoli dopo, non venne il momento di imporre anche lì l’islam con la forza. Un simile rapporto di vassallaggio tra una potenza islamica e quella che oggi definiremmo una “regione autonoma cristiana” fu anche teorizzato da alcuni giuristi islamici nell’ipotesi di un Dar al-Sulh intermedio tra Dar al-Harb e Dar al-Islam, quando uno Stato cristiano accetta spontaneamente di sottomettersi, come fecero i principati di Valacchia e Moldavia nei confronti dell’Impero ottomano. Ma, anche qui, solo come tappa verso la piena assimilazione.

I cristiani? Legittime prede di guerra

Ciò significa dunque che l’islam autorizzi il terrorismo più selvaggio? In effetti, lo stesso diritto islamico canonico chiarisce che il jihad, «sforzo», per la conversione del Dar al-Harb va comunque condotto con determinate regole, per essere legittimo. «Vi raccomando, popolo mio, dieci regole da tenere bene a mente», spiegava il califfo Abu Bakr ai suoi soldati nel 632. «Non tradite; non v’appropriate indebitamente di nessuna parte del bottino; non operate pratiche perverse e non infliggete mutilazioni; non uccidete un bambino, un anziano o una donna; non sradicate e non bruciate palme, non tagliate alberi da frutta; non ammazzate una pecora, o una mucca, o un cammello, se non per nutrirvi». All’interno di questo fair play guerriero, però i non musulmani restano sempre harbi. Legittime prede di guerra. Come le Crociate? Non esattamente. La Crociata fu un iter, un pellegrinaggio armato contro un potere non cristiano di cui si diceva, a torto o a ragione, che impediva i pellegrinaggi. E dopo le polemiche seguite alla Conquista spagnola delle Americhe, i teologi della scuola di Salamanca precisarono la dottrina. Naturalmente, anche loro ritenevano che dove il cristianesimo era maggioritario non si dovesse permettere la predicazione di altri fedi: una pretesa che l’Occidente ha superato tra XVII e XX secolo, e che invece l’islam mantiene ancora. Ma dove il cristianesimo non era maggioritario, la predicazione doveva essere pacifica, e la guerra consentita solo per difendere questa predicazione pacifica da eventuali persecuzioni. Naturalmente, non mancarono le deviazioni. Dopo essere stato in Spagna, Carlo Magno andò a battezzare con la forza i sassoni. Era stato influenzato dall’islam? In seguito, ci furono le non edificanti imprese di Cavalieri Teutonici in Europa Orientale. Ma erano militari professionisti per cui la fede era alibi, più ancora che per la ricerca della ricchezza, per evitare la disoccupazione. Nell’islam, invece, la degenerazione non è la guerra per convertire, ma il semplice crimine di guerra nel suo ambito.

Uno scontro di civiltà inevitabile?

In realtà una cosa è la teoria, un’altra la pratica. E l’abilità della casistica giuridica islamica sta appunto nel trovare il più possibile le scappatoie per adattare alla modernità le pastoie di una religione della legge altrimenti immutabile. La legge prescrive di lapidare la donna sorpresa in flagrante adulterio da almeno quattro testimoni? «E come si fa a commettere adulterio facendosi vedere addirittura da quattro persone insieme?». C’è il permesso di prendere fino a quattro mogli se si trattano con imparzialità? «E come si fa a trattare anche solo due donne senza fare favoritismi?». E sapete come il presidente tunisino Burghiba cercò di giustificare l’abrogazione del Ramadan? «È dispensato dal digiuno chi combatte il jihad. E la nostra patria non è forse in jihad contro il sottosviluppo?». D’altra parte, pure gli ultrafanatici kamikaze delle Torri Gemelle hanno creduto bene di sbronzarsi, prima dell’attentato. Nella pratica, tutti i trattati di pace condotti secondo le regole del diritto internazionale corrente sono oggi definiti come sulh. “Sulh Versailles”, dicono i libri di storia arabi sulla fine della Prima Guerra Mondiale. Però, quando l’Iran di Khomeini sequestrò i diplomatici americani a Teheran, si rifece a quella prassi dell’Impero ottomano classico secondo cui i “consoli” occidentali erano equiparati a “capi” delle comunità di loro concittadini presenti nel Dar al-Islam. Con diritti di ampia extraterritorialità, dunque, ma anche sottoponibili a rappresaglia. Insomma, si richiamò un’altra legittimità giuridica, contro l’idea moderna dell’immunità diplomatica. E, come dimostra il recente arresto dei cooperanti in Afghanistan, quasi nessun Paese islamico ammette tuttora il diritto di proselitismo per gli infedeli nel Dar al-Islam, pur reclamandolo per sé nel Dar al-Harb. Insomma, non è che i secoli siano passati invano. Ma altre evoluzioni ancora si dovranno avere, prima che il tempo della contrapposizione tra Crociata e Jihad possa essere considerato un capitolo di storia definitivamente chiuso.

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