
La Nuova Via della Seta

I porti di Genova e Trieste, la cultura e il turismo saranno i principali settori di cooperazione nei futuri rapporti tra Italia e Cina. L’ha affermato oggi a Pechino, in conferenza stampa, il premier Paolo Gentiloni, fresco di partecipazione al primo Forum One Belt One Road del 14 e 15 maggio, un’iniziativa fortemente voluta dal presidente della Repubblica Popolare cinese Xi Jinping. Vi hanno partecipato 29 capi di stato (tra cui Putin ed Erdogan), 1200 delegati di 110 paesi, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. Gentiloni è stato l’unico leader del G7; Germania e Gran Bretagna si sono limitate a inviare i ministri dell’economia, mentre la Francia ha inviato l’ex premier Raffarin. Il primo ministro italiano ha parlato di “sintonia e amicizia tra due antiche civiltà, che si ritrovano oggi sulla Via della Seta” e ha sottolineato l’importanza della posizione strategica del nostro paese: potrebbe diventare, infatti, un punto di connessione imprescindibile tra la rotte marittime e quelle terrestri del progetto cinese One Belt One Road (“Una cintura, una via”, OBOR).
Xi Jinping aveva evocato per la prima volta l’immagine di una “Nuova Via della Seta” durante un discorso alla Nazarbayev University di Astana, in Kazakistan, nel settembre 2013. Citando una “preziosa rivelazione” lasciataci in eredità dall’Antica Via della Seta, aveva parlato di popoli di diversi paesi che “hanno scritto insieme un capitolo traboccante di amicizia, tramandato e fatto risuonare nei secoli”, aveva descritto “una storia di scambi lunga più di duemila anni che testimonia come Paesi di differenti etnie, credenze e culture possano godere di una pace e uno sviluppo comuni” e aveva ceduto a un nostalgico lirismo biografico: “la mia provincia natale, lo Shaanxi, si trova proprio sul punto di partenza dell’antica Via della Seta. Stando qui a rievocare la storia, mi sembra di sentire il tintinnio delle campane dei cammelli, che risuonano tra le montagne, e di vedere le colonne di fumo arricciarsi verso l’alto, fluttuando nel vasto deserto. Tutto ciò mi è estremamente caro”.
A poco più di tre anni da queste parole, la seconda economia mondiale ha già investito più di 50 miliardi di dollari in progetti di infrastrutture e trasporti, coinvolgendo 68 paesi allo scopo di creare una zona di cooperazione economica tra Asia, Africa e Europa che potenzi gli antichi percorsi carovanieri della Via della Seta e ne crei di nuovi (in tutto, si tratterà di quattro corridoi terrestri e due corridoi marittimi). Per finanziare questo faraonico progetto, la Cina si è dotata del fondo statale di private equity New Silk Road Fund da 40 miliardi di dollari – domenica, nel discorso inaugurale del Forum, Xi Jinping ha promesso nuovi investimenti per 14,5 miliardi di dollari – e della Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB, l’Italia è tra i fondatori) con un capitale da 100 miliardi di dollari, entrambi strumenti che da molti sono stati interpretati come un tentativo cinese di scalfire il monopolio della Banca centrale, del Fondo monetario internazionale (a guida americana) e della Banca Asiatica (a guida giapponese).
Si calcola che OBOR avrà un impatto su 4,4 miliardi di persone, toccherà il 40% del Pil mondiale, muoverà 900 miliardi di investimenti e interesserà il 75% delle risorse energetiche globali, assicurando alla Cina, grazie a una fitta rete di accordi diplomatici, una crescita stabile del Pil interno, un allargamento della sfera di influenza geopolitica e la garanzia dell’approvvigionamento di nuove risorse energetiche.
Quello di Xi Jinping è un disegno visionario, dunque, che mette la Cina al centro del mondo, sconquassa gli equilibri esistenti e aggiorna il concetto di globalizzazione, spostandone l’asse da Occidente a Oriente. Sono passati quasi 40 anni dal famoso “arricchirsi è glorioso” di Deng Xiaoping a cui si deve la spinta della Repubblica Popolare Cinese ad aprirsi all’esterno. Per decenni, la Cina ha vissuto la globalizzazione in modo passivo, da fabbrica del mondo. Ora che ne è uscita comunque vincitrice – come orgogliosamente sottolineato per la prima volta da Xi a gennaio, durante il Forum di Davos – ambisce ad un ruolo più che mai attivo e determinante. L’avvento di Trump alla Casa Bianca e la tentazione di un ritorno al protezionismo dell’economia americana contribuiscono ad accelerare il processo. Il progetto OBOR è lo strumento pragmatico con cui il Celeste Impero può avverare in parte il “sogno cinese” (zhongguo meng) di Xi Jinping: essere per il mondo la “forza più vigorosa nella potente tendenza alla globalizzazione” e l’occasione per uno sviluppo win-win, potenzialmente foriero di effetti benefici per tutti. Organica al progetto, la promessa di un soft power “gentile”, che non si intrometta negli affari interni degli altri paesi, alternativo a quello “interventista” americano.
Il Forum One Belt One Road a Pechino è servito proprio a dare al mondo la visione plastica del nuovo ruolo globale di Pechino. Per tre giorni, la Cina di Xi è stata il centro della diplomazia e dell’economia mondiali. Da segnalare l’incontro tra le delegazioni di Nord e Sud Corea, durante il quale il capo della rappresentanza di Seul Park Byeong-seug ha espresso forte condanna e preoccupazione per il missile testato da Pyongyang domenica mattina e l’incontro tra Putin e Erdogan per discutere della questione siriana.
Dalla cabina di regia, la Cina ha supervisionato e ha indicato una possibile direzione da seguire, proponendosi come potenza responsabile e pacifica in un momento in cui gli Stati Uniti sembrano in balia di una presidenza inaffidabile e irrequieta. Non a caso Xi Jinping, nel discorso di apertura, ha sottolineato come la “Nuova Via della Seta” possa diventare un mezzo per promuovere “pace e prosperità”, concetto ribadito più volte anche nello storytelling allestito attorno ad OBOR dalla propaganda cinese.
Il progetto “Una cintura, una via” lascia aperti molti interrogativi e fa alzare parecchie sopracciglia, soprattutto in Europa per i suoi aspetti nebulosi e preoccupanti: non fa chiarezza su molti dei suoi numeri ciclopici (vedi alla voce rischi di investimento), e glissa sulla complessità di alcuni teatri coinvolti, in zone decisamente calde del pianeta. Tuttavia, lo sguardo di Xi Jinping sembra davvero quello proiettato più lontano. Altre visioni, al momento, non sono pervenute.
Il leader cinese ha salutato i suoi ospiti dando loro appuntamento al 2019. Chissà a che punto sarà allora il processo di governance globale cinese e, soprattutto, chissà quale ruolo sarà riuscita a ritagliarsi l’Italia.
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