
La Jeanne fatta carne (di porco)
Nostalgia di Dreyer, Bresson, Rossellini, Panfilov…
Nell’immaginario del cinefilo il volto sofferente di Reneé Falconetti in “Il processo di Giovanna D’Arco” (1928) di Dreyer si situa quasi fuori dal tempo. Più in secondo piano l’hollywoodiana, ed efficace, messinscena di Fleming del 1948, con l’atletica Ingrid Bergman e la spaurita Jean Seberg, nel film di Preminger del 1957. Anche Bresson, Rossellini e Panfilov si sono cimentati con la vita di Jeanne ma Jacques Rivette, col suo “Giovanna D’Arco; le Battaglie e le Prigioni” ha segnato un punto di non ritorno. Indifferente a qualsiasi logica commerciale, Rivette ha abolito la spettacolarità delle battaglie per concentrare la sua e nostra attenzione su una Pulzella inedita e storicamente attendibile. Se Sandrine Bonnaire entrerà nella storia del cinema, lo dovrà all’interpretazione magistrale di una ragazza volitiva e fragile, ricca di humour, che ride di gioia e grida di terrore.
La Giovanna di Besson? Una demente Ma Luc Besson la pensa diversamente. Certo, nelle interviste ha detto le solite manfrine sulla ricostruzione storica, sulla fedeltà alle fonti, salvo poi fare, delle suddette fonti, carne di porco. In fondo gli sarebbe bastato adattare il personaggio della Leelo del “Quinto elemento” per ottenere un risultato decoroso, e invece ha optato per un’alternativa volterriana. Fu proprio Voltaire, infatti, a descrivere la Pulzella di Orleans, nell’omonimo poema eroico, come un’invasata alla guida di un esercito di beoni. Milla Jovovich è precisamente questo, dall’inizio alla fine del film, una impasticcata in perenne marasma mentale: per tre ore sgrana gli occhioni e tende i labbroni, parla con voce da demente, s’incazza con tutti, rompe gli zebedei agli sventurati comandanti, ha visioni blasfeme e intreccia dialoghi al limite del dadaismo con un Dustin Hoffman completamente fuori parte che dovrebbe essere Dio-la Coscienza-il Diavolo e chi sa cos’altro. Ma perché la poveretta è così deragliata? La prima mezz’ora del film è rivelatrice. Appena dopo essersi confessata, rompendo i marroni al parroco per la sua assiduità al sacramento, si perde nei prati, mentre gli inglesi inchiodano e stuprano sua sorella. È da qui che parte non un’interpretazione legittima, ma una costante mistificazione a fini ideologici. Va detto che non è mai esistita una sorella maggiore, tanto meno stuprata? Bisogna precisare che la Pulzella non ha mai trovato nessuna spada in un prato e che perciò Dustin Hoffman confuta il Nulla, quando nega che ciò sia avvenuto per cause soprannaturali? Meglio la Pulzella (tv) di Duguay Il film è fastidioso, proprio perché monocorde nelle sue tesi, incapace di emozionare proprio laddove Besson prova a raggiungere l’effetto con numeri da circo. Ha un bell’imitare il Gibson di “Braveheart”, portando la cinepresa in mezzo ai combattenti! Al pubblico, l’assedio di Orleans dice meno di zero, proprio perché insignificante per lo stesso Besson ed è questo, in definitiva l’epitaffio più consono, tratto dal “Macbeth”: “Una favola narrata da un idiota in un eccesso di follia, colma di suoni e di furia e (per l’appunto) priva di significato”.
A mo’ di corrollario converrà citare il dignitoso film tv di Christian Duguay su Canale 5. Purtroppo, ancora una volta, si è cercato di rendere le visioni con giochi di luce da cattedrali gotiche, oltre che con una terrificante Santa Caterina, munita di ali così enormi da sembrare un avvoltoio al neon. Convenzionale ma non insipido, il film aveva il suo principale punto di forza proprio nell’interpretazione di Leelee Sobieski, glaciale, ferrigna o radiosa a seconda delle esigenze: un volto, non a caso, impiegato da Kubrick in “Eyes wide shut” e che è destinato a diventarci assai familiare.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!