
La guerra del miele (sì, c’entra la Cina)

Il Parlamento europeo apre le porte a Greta Thunberg in piena emergenza coronavirus per una photo opportunity che certifichi l’impegno delle istituzioni europee contro i cambiamenti climatici, ma queste stesse istituzioni nulla stanno facendo in concreto, nonostante i richiami di alcuni stati membri e degli operatori del settore, per scongiurare una grande catastrofe ambientale che incombe sull’Europa: l’estinzione delle sue api.
L’estinzione delle api
Le api e gli altri insetti impollinatori sono fondamentali per il 78 per cento delle specie vegetali selvatiche e per l’84 per cento delle specie coltivate per l’alimentazione in Europa, ma a causa di una serie di fattori ambientali (urbanizzazione che riduce gli habitat, uso di pesticidi, invasioni di insetti alieni come la vespa asiatica, cambiamenti climatici, inquinamento dell’aria) lo stock di questi animali si sta rapidamente riducendo: la mortalità invernale nelle colonie di api selvatiche è passata in pochi anni dal 5-10 per cento della popolazione al 25-40 per cento. In particolare in un terzo di tutte le varietà di api e di farfalle il numero dei componenti sta costantemente diminuendo, e il 10 per cento delle 2 mila varietà di api presenti in Europa è puramente e semplicemente a rischio di estinzione. Questo pericoloso declino è parzialmente compensato dai 650 mila produttori europei di miele, che si prendono cura del ripopolamento dei loro alveari, fonte di reddito.
Concorrenza cinese
Da qualche anno però anche queste colonie di api sono a rischio di estinzione per un motivo prettamente economico: la concorrenza del miele prodotto fuori dall’Unione Europea, in particolare di quello proveniente dalla Cina, sta mettendo fuori gioco i produttori europei. Se essi saranno costretti a chiudere la loro attività perché non più remunerativa, altri milioni di api spariranno in breve tempo. La Ue non è autosufficiente per quanto riguarda il consumo di miele, e importa annualmente da paesi extracomunitari circa il 40 per cento del suo fabbisogno. La metà circa di questa quota, che attualmente ammonta a circa 80 mila tonnellate all’anno, arriva dalla Cina (il resto proviene da Ucraina, Messico, Argentina, Brasile, ecc.). L’anno scorso la produzione Ue di miele ha conosciuto una riduzione a causa di fattori ambientali, ma il prezzo del prodotto sul mercato non è aumentato grazie all’effetto calmierante del miele cinese.
Frodi su larga scala
Secondo la Copa-Cogeca, il binomio delle due organizzazioni che raccolgono tutti i più importanti sindacati dei produttori agricoli dei paesi della Ue, il costo medio di produzione del miele nella Ue era di 3,90 euro al chilo nel 2018 (ultimo dato disponibile), mentre l’anno scorso il miele cinese arrivava sul mercato europeo al prezzo medio di 1,24 euro al chilo! Un tale ribasso non sembra dovuto a capacità manageriali o a innovazione delle tecniche produttive, ma più semplicemente a frodi alimentari su larga scala: la Copa-Cogeca denuncia «la cospicua aggiunta di sciroppo di zucchero più economico per la produzione e difficile da individuare durante i controlli alle frontiere e una definizione di miele e di metodo di produzione del miele che in Cina non sono conformi agli standard europei».
Le fabbriche del miele
Pare insomma che molti produttori cinesi raccolgano il miele quando non è ancora maturo e presenta un aspetto acquoso, lo facciano seccare artificialmente in “fabbriche del miele”, aggiungano o tolgano pollini per mascherare il paese di origine, aggiungano sciroppo di zucchero nella misura necessaria per imporsi sui diversi mercati esteri. In pochi anni la Cina è diventata il principale produttore mondiale di miele, ma c’è un dato statistico che alimenta i più forti sospetti: fra il 2000 e il 2014 la produzione cinese di miele è aumentata dell’88 per cento (dati Fao), ma nello stesso periodo il numero degli alveari è aumentato solo del 21 per cento, in un contesto generale in cui gli alveari producono meno miele che in passato a causa dei fattori ambientali negativi che di cui abbiamo più in alto parlato.
Come il doping nello sport
Perché allora le adulterazioni cinesi in materia di miele non vengono per lo più alla luce? Perché le tecniche per il controllo della conformità del prodotto sono costose e perché le tecniche di sofisticazione si evolvono costantemente. Dichiarava qualche tempo fa il dott. Stephan Schwarzinger dell’Università di Bayreuth: «Non c’è un singolo metodo per testare l’autenticità del miele, perché ci sono molti modi per adulterarlo. È come la ricerca del doping nello sport: chi fa i test non può immaginare che è arrivata una nuova droga sul mercato. Quando si considera la varietà di sciroppi zuccherosi esistente, occorre concludere che non c’è una singola tecnologia che possa coprirli tutti. Bisogna guardare a molti parametri chimici e fisici».
Manca la Germania
In questi casi il principale mezzo di difesa dovrebbe essere l’etichettatura del prodotto, e proprio qui casca l’asino europeo: al di fuori dell’etichetta che indica un singolo paese di origine, esistono solo tre tipi di etichettatura, e cioè “miscela di miele di paesi Ue”, “miscela di miele di paesi non-EU” e “miscela di miele di paesi Ue e non-Ue”. L’associazione degli allevatori europei di api e 16 paesi della Ue da tempo chiedono alla Commissione europea di introdurre nuove etichettature, che specifichino meglio la provenienza del miele e indichino la percentuale delle diverse provenienze nelle miscele di miele. L’ultimo pronunciamento dei 16 paesi risale al 14 febbraio scorso. Sia la Commissione Juncker che l’attuale Commissione Von Der Leyen si sono finora mostrate sorde alle richieste. I paesi che appoggiano la linea dei produttori di miele (che salverebbe le api europee) sono in ordine alfabetico: Bulgaria, Cipro, Estonia, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. Come si può notare, manca il nome della Germania, il paese della nuova presidente della Commissione europea che è anche la principale importatrice di miele extra-Ue con 89 mila tonnellate di import all’anno. Però la foto con Greta Thunberg al parlamento europeo Ursula Von Der Leyen se l’è fatta, ci dobbiamo accontentare di questo.
Foto Ansa
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