La frociaggine e la «domanda di fondo»
Gentile direttore, il putiferio sollevato dalle parole di papa Francesco sulla «frociaggine» mi ha molto colpita. Non tanto e non solo per l’espressione volgare in sé (quelle parole, proferite dalla bocca di un Pontefice, sconcertano), quanto perché, tra il diluvio di commenti e frizzi, ne ho trovati ben pochi che – seriamente – cercassero di affrontare la questione e cioè l’accesso degli omosessuali in seminario.
Chiara Santeri
Gentile Chiara, la penso come lei. La questione è molto seria e riguarda la formazione del clero e, più in generale, la posizione della Chiesa nei confronti dell’omosessualità (basti pensare a cosa sta succedendo in Germania).
Il commento della Santa Sede sulla vicenda ci dice due cose essenziali: uno, che il Papa chiede scusa e, due, che «nella Chiesa c’è spazio per tutti». L’incidente si dovrebbe chiudere qui, visto che si tratta di vicenda riportata de relato e avvenuta a porte chiuse. Molti degli editoriali apparsi sulla stampa in questi giorni (che esprimono delusione per un Papa che fa marcia indietro rispetto a certe “aperture”) sono figli di un’interpretazione “politica” del papato, della Chiesa, del suo magistero, ma non centrano il punto.
Il punto – messo da parte l’inescusabile linguaggio usato dal Pontefice – è che Francesco, così come il suo predecessore Benedetto XVI, è molto preoccupato del fatto che in molte diocesi, e in particolare nei seminari, si sono formati gruppi omosessuali che si proteggono e sostengono a vicenda. Benedetto XVI parlò di «club omosessuali in molti seminari» in cui si giustificava la pedofilia e Francesco nel 2013 parlò esplicitamente di «lobby gay» all’interno del Vaticano. Quindi, al di là delle battutacce, la prima considerazione da fare è che il problema esiste e che il Papa ne è consapevole (è di questo che, nelle due ore di dialogo tra il Pontefice e i vescovi, si è parlato).
Due: l’accesso ai seminari di persone omosessuali va sempre verificato. Se non può essere escluso che una persona omosessuale possa diventare un sacerdote, è giusto però che si verifichi se questa sua condizione non pregiudichi la sua vocazione alla verginità e alla paternità che, nel caso di una omosessualità radicata, può essere facilmente tradita. Questo vale anche per le persone eterosessuali, certo, ma, per quanto detto prima, il seminario non può essere trasformato in un rifugio dove nascondere le proprie preferenze sessuali. Deve tornare a svolgere la funzione per cui esiste: preparare sacerdoti.
Da questo punto di vista, Francesco si richiama a quanto la tradizione della Chiesa ha sempre sostenuto e che è ben spiegato in un’Istruzione pubblicata nel 2005 e nella quale si dice che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall’Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate. Qualora, invece, si trattasse di tendenze omosessuali che fossero solo l’espressione di un problema transitorio, come, ad esempio, quello di un’adolescenza non ancora compiuta, esse devono comunque essere chiaramente superate almeno tre anni prima dell’Ordinazione diaconale».
Tre: per quanto riguarda più in generale il tema dell’omosessualità, papa Benedetto XVI, parlando del matrimonio gay nel saggio introduttivo al libro Quale Europa, pone la questione in maniera radicale. Finché si continua a ragionare solo sulle conseguenze, sulle preferenze, sull’amore, sui desideri, non se ne uscirà mai: l’alternativa proposta non può oscillare tra libertinaggio e castrazione. Così può ragionare il mondo, non la Chiesa che nel suo annuncio deve aiutare tutti – innanzitutto i sacerdoti che di quell’annuncio sono i primi responsabili – a porsi la «domanda di fondo», come la chiamava Ratzinger: «Chi è l’uomo? E con essa anche la domanda se ci sia un Creatore o se non siamo tutti solo prodotti di un fare. […] Anche l’uomo possiede una “natura” che gli è stata data, e il violentarla o il negarla conduce all’autodistruzione».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!