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La fiera della verità

Dal matematico all'ambasciatore, dalla hostess al lavapiatti. A Rimini prende fiato una civilità che resiste a manicheismi e piagnistei. E neanche un morto. «Ma non dicevano che la verità era violenta?»

Luigi Amicone
30/08/2007 - 0:00
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Rimini

«Sai, Martino, ho voglia di fare una bella festa». Diceva così Claudio Chieffo, il cantautore del popolo di Cl al figlio, pochi giorni prima di morire. Lo scorso anno, già malatissimo, un’energia sopraggiunta misteriosamente gli aveva dato la forza di tenere proprio al Meeting di Rimini l’ultimo suo grande concerto. E proprio il giorno dell’avvio del Meeting 2007, Chieffo si è spento tra le braccia del figlio Martino. Che in chiesa, e fuori dalla chiesa, il Duomo di Forlì dove la gente si era radunata incredula al suono della banda e delle campane suonate a distesa («ma che festa c’è?» diceva la gente), ha ringraziato le migliaia di persone arrivate d’ogni dove come a un appuntamento convenuto «per questa bellissima festa». Poi, come spesso succede allo spettacolo della vita che deve andare avanti, è a Giancarlo Cesana che devi chiedere lumi politici. «Perché non abbiamo invitato Berlusconi? Bè, francamente al momento mi sfugge, però se lo vedete ditegli che “Partito della libertà” è un bel nome. Anzi, ditegli che è meglio di Forza Italia. E che ci mettesse Formigoni».
Dietro le quinte sono stati giorni di incontri e conversazioni serrate nei salottini degli ospiti. Dove dal gruppo di comando, da Giorgio Vittadini a Raffaello Vignali, da Cesana a Marco Bona Castellotti, gli ospiti sono stati coccolati e compulsati come libri. Tutti. Indistintamente. Come d’altronde è successo alla base. Il tono della manifestazione lo hanno dato, come sempre, le hostess e le migliaia di volontari. Si trattasse di accompagnare un alto papavero della politica o di stare in un’oscura cucina, lavando con l’acqua fredda l’attrezzatura da campo e pile infinite di piatti, ragazzi e adulti (abbiamo incontrato anche due importanti magistrati milanesi alla macchina fotocopiatrice, «niente nomi, grazie») non hanno avuto da reclamare nulla se non la disponibilità e l’attenzione agli invitati, la cura dei particolari. è questa premura di accoglienza e unità che colpisce in ogni piega dell’organizzazione. A cominciare dai capi, i quali, appunto, dai salottini vip – e sono tutte persone importanti quelle che da quasi trent’anni passano al Meeting – cercano di imparare da tutti. Tanto dall’uomo di potere, quanto dall’oscuro artista che cerca nel poeta Davide Rondoni un viatico all’industria culturale.
Il fatto che per Cl non si tratti di prendere parte diretta nella lotta politica italiana, lo ha rappresentato bene l’incontro con l’ambasciatore americano, presente per la prima volta dopo vent’anni alla kermesse. Nella conversazione col gruppo dirigente l’amico americano Ronald Spogli ha spiegato cosa vede. «La nostra impressione è che l’Italia sia ferma e la sua tenuta sociale a rischio. La vostra economia è in affanno, le forze conservatrici non favoriscono il rilancio del sistema produttivo e l’innovazione non decolla. è un problema serio. Anche perché gli altri paesi europei corrono». Da un altro punto di vista, quello del matematico di fama internazionale Laurent Lafforgue, il Meeting è stata un’esperienza di consolazione rispetto a un generale clima di regressione intellettuale e di appiattimento della ragione. «Non ho mai trovato tanta gente che vive quello che vivo io nella mia solitudine».
Lo psicoterapeuta Pierre Mertens, presidente dell’Associazione internazionale spina bifida e protagonista di una drammatica testimonianza sulla maestà della vita, una sera lo abbiamo incrociato a un tavolo di ristorante. «Troppo dolci le tedesche, preferisco le italiane». Naturalmente si parlava di birra in margine a una conversazione sui foschi scenari della sanità europea intavolata con Felice Achilli e Alberto Dragonetti, due primari ospedalieri responsabili di Medicina e Persona.
«Non sono credente, ma questa gente è speciale. Non ho mai trovato un uditorio del genere. E dire che non sono il leader dei Rolling Stone». Ha poco da aggiungere l’astrofisico Marco Bersanelli alla performance di George Smoot, Nobel 2007 per l’astrofisica, la cui presenza a Rimini in compagnia di tanti altri scienziati è stata una elementare dimostrazione del provincialismo di certa élite italiana che cerca di separare il cristianesimo dai principi di laicità e della scienza moderna. Al contrario, l’avanguardia della curiosità razionalista e il cosmopolitismo sono di casa a Rimini. Dove lo scienziato conduce migliaia di persone in una ideale scampagnata nell’universo, tra slide di reticoli di stelle e galassie appese come meduse sul fondo nero del cosmo. «La cosa più incomprensibile dell’universo» commenta Bersanelli, membro dell’equipe del Nobel, citando Albert Einstein, «è che sia comprensibile da quel punto infinitesimale del cosmo che è l’uomo». Il segreto di questo spettacolo sa di Beethoven. Anche del Meeting si potrebbe dire che è una sorta di sinfonia che non appare mai scontata. Dentro l’applicazione puntigliosa di un anno di lavoro (e da fine settembre si ricomincia a costruire l’agenda del prossimo ragionando sul titolo 2008 “O protagonisti, o nessuno”) c’è, come c’era nel maestro dell’inno alla gioia celebrato in una delle grandi mostre del Meeting, il lavoro di allargare, restringere, spingere verso l’acuto e verso il grave «e, poiché so cosa voglio, la concezione di fondo non mi abbandona mai».

Un ingraiano all’esordio
La certezza e la concezione di fondo. Questo è il segreto del “Festival”. Come ha suggestivamente colto il comunista Pietro Barcellona, salito per la prima volta sul palco ciellino. Due parole sul goffo confronto stabilito da Beppe Severgnini tra l’evento di Edimburgo e quello di Rimini, quindi l’affondo del filosofo: «Il festival di Edimburgo è lo spettacolo ordinario della superficialità. Si torna a casa come prima. Il festival di Rimini ci ricorda chi siamo, perciò dura. Perciò è l’appuntamento dell’anno. E poiché la verità non ha a che vedere col flusso delle informazioni ma con la maturazione della ragione di fronte all’esistenza, la verità è un posto». Cita Antoine de Saint-Exupéry il comunista ingraiano: «La verità delle arance è il posto dove gli aranci fioriscono. La verità delle aquile è il posto dove le aquile volano. La verità dell’uomo è il posto dove la vita umana rinasce. è questo ciò che io provo venendo qui, dove non ci sono metodi astratti ma si capisce che la verità è solo un’esperienza».
Un’esperienza, cioè azione ancorata a una concezione di fondo. Anche davanti alla politica che suscita emozioni e barricate. Piero Fassino ha preso lo stesso qualche fischio (e Giuseppe Fioroni parecchi “buu”, ma soffocati), però, aveva richiamato dal palco il capo della Cdo Vignali, «chi non è d’accordo non applauda, ma neanche fischi. Impariamo sempre ad ascoltare le ragioni e poi a confrontarle con la vita». è il fenomeno del giudizio quello che circola e viene istigato per tutto il corso del “festival”. Chiaro che la pressione ai cancelli è enorme. Chiaro che uno apre i giornali e gli sembra di stare tra i marziani. Ma come, al Meeting niente piagnucolii? Niente. «E non è neanche morto nessuno, neanche un kamikaze» ironizza Cesana. «Eppure, non dicono che la verità è violenta? Allora i casi sono due: o parlano a vanvera, o c’è un po’ di confusione in giro, poveri Magris». Tutto sembra manicheo là fuori. Dove buoni e cattivi si rincorrono in un paese fermo a contemplare l’ombelico del proprio declino (è il senso della battuta cesaniana sull’alza “bandiera bianca” che dicono abbia fatto arrabbiare l’ottimo ma permaloso Giulio Tremonti). E dove gli unici diversivi al grigiore prodiano sono gli scampoli di ferie, l’enorme problema di Montezemolo, «il mondo pornografico, anche solo uscendo sulla via Emilia, e che non ci puoi portare la sera né un bimbo né una vecchia madre» (come dice l’ormai quasi ciellino Giovanni Lindo Ferretti, ex punkettaro da sballo dei CCPP “fedeli alla linea”) e il fucile a pallettoni ideologici caricato per i conflitti del caldo autunno politico.

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Tasse, roghi e omicidi dove siete?
Dov’è il bene comune cancellato dal tormentone delle tasse, roghi e omicidi che hanno galvanizzato un’estate politicamente depressa? Com’è che anche nei disastri non c’è desiderio di coesione, e ciascuno inzuppa beato il biscotto dell’indignazione senza sentirsi trafitto da nemmeno un raggio di pensiero al bene del popolo? Tutt’al contrario – e non perché il popolo del Meeting dia segni di pretendersi moralmente superiore a chissà quale altro – qui gli scandali non fanno rumore. Non ci sono entrati proprio nell’Italia della gente ordinaria che ha affollato i padiglioni della fiera di Rimini. Tant’è che uomini di mondo, intellettuali, preti e politici, sono riusciti a dismettere per qualche giorno il palcoscenico delle vanità e le recite nel grande teatrino. Il sociologo Aldo Bonomi non ha da rimpiangere il suo passato da autonomo. «Qui l’esperienza ha una radicalità che fa rivivere le pietre, e se sei d’accordo, oltre che sul Sole 24 Ore mi piacerebbe scrivere anche per Tempi».
L’imprenditore Luca Ferrarini si ricorda da queste parti che «avere un mestiere non è per nulla scontato, è una fortuna, e una fortuna è poter assecondare la propria passione». Il garante del Partito democratico Carlin Petrini si gode serate distese in compagnia del folletto della Cdo Giancarlino Ronzoni. Scorrono sui palchi i pezzi grossi della grande impresa. Da Paolo Scaroni al braccio destro di Bill Gates. E come la tribù dei veneti che con Franco Miracco, lo spin doctor di Giancarlo Galan, si raduna al caffè Pedrocchi ricostruito in un padiglione Meeting, così al ristorante sardo Vittadini organizza il nuovo sito della Fondazione Sussidiarietà facendosi ispirare dalla conversazione con i suoi giovani amici intellos del Riformista. E se il filosofo Roger Scruton regala un affondo di rara acutezza sulla tragedia della postmodernità, giustamente, come quella del tedesco Robert Spaemann, Il Foglio la pubblica a beneficio dei laici autentici e di chi, tra i posteri, sopravviverà allo spappolamento della razionalità.
Già, «dov’ è la notizia qui al Meeting?» ti dice un collega che poi, venendo a una confidenza privata, accennando di un figlio, ti scappa via tra le lacrime? Già, dov’è la notizia se l’unica notizia è: guardatevi intorno, parlate con la gente, andate agli stand, guardate che fiorire di opere, guardate come alla Cometa hanno messo in piedi “una città nella città” dove famiglie vivono in comunione con educatori, volontari, quarantotto figli e altri centodieci abbandonati o raccolti nei commissariati; andate alle mostre di fotografia, di storia patria, di arte internazionale, di cooperazione Avsi per le madri del terzo mondo, per aiutarle non a disfarsi dei loro bambini ma a crescere e a vivere la maternità. Mettete il naso nei ristoranti napoletano e abruzzese e osservate il principio di soluzione dell’eterna questione del sud Italia, che non è affare di carità di Stato e meridionalismo d’accatto, ma questione di tirar su persone che abbiano una certezza e una concezione di fondo. «Tu mi dirai: “Mostrami il tuo Dio”. Ma io ti dico: “Mostrami prima l’uomo che è in te e poi io ti mostrerò il mio Dio”».

Uno stress per i capelli
Diceva Luigi Giussani, parlando ai suoi universitari nel lontano 1979, dopo aver citato queste parole di san Teofilo di Antiochia nel libro (Certi di alcune grandi cose, Rizzoli) che Vittadini e Giulio Sapelli hanno presentato nell’ultima giornata riminese, «Mostrami l’uomo che è in te. è tutto quello che avremmo voluto saper dire in venticinque anni di movimento». Questa è stata la cifra del Meeting 2007. Che duri o no un parlamento italiano, che vinca l’islam o la morte per cocaina, che ci siano radici cristiane o no nei documenti dei cavolini brusellesi, c’è in nuce quella civiltà che proprio al Meeting di Rimini papa Giovanni Paolo II incaricò i ciellini di edificare a costo di dare la vita. Il che, per altro, non contraddice le considerazioni di lady Barbara Vignali, secondo cui «sì, sì, è stato tutto molto bello. Però anche duro. Per i bambini, dico. E anche per i capelli. Sai, non c’è niente come il Meeting che ti faccia apprezzare il parrucchiere».

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