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La doppia trincea sui vaccini

La vaccinazione anti Papilloma virus è indispensabile e non esclude il Pap test e una sana educazione all’affettività

Paolo Bonanni
07/07/2017 - 1:00
Società
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“La verità vi prego sui vaccini”. Con il numero 20 di Tempi abbiamo aperto il dibattito sui limiti e le opportunità scientifiche dei vaccini, in particolare sul papilloma e altri virus a sfondo sessuale. Se esiste il dovere scientifico di prevenire e monitorare, altresì esiste il nostro diritto a una sana educazione alla vita. Per questo abbiamo interpellato e chiamato a esprimersi Carlo Federico Perno (professore diMicrobiologia e Virologia all’Università di Roma Tor Vergata), Michele Grandolfo (epidemiologo, ex dirigente del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e promozione della salute dell’Iss), Silvio Garattini (direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano) e Giancarlo Cesana (medico, ex presidente della Fondazione Policlinico di Milano)

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Tempi ha pubblicato recentemente alcuni articoli su vaccinazione anti-HPV ed educazione ad una vita affettiva e sessuale responsabile. Vorrei dare un contributo alla discussione partendo da alcuni dati su chi sia e cosa provochi questo virus. Il Virus del Papilloma Umano (Hpv) è uno dei più importanti fattori cancerogeni per l’uomo, e causa ogni anno nel mondo circa 640.000 casi di cancro. Provoca, in altre parole, il 5 per cento di tutti i tumori e il 10 per cento di tutti i tumori nelle donne. Alcuni tipi di Hpv sono la causa delle comuni verruche delle mani e dei piedi, altri determinano una serie di lesioni pre-tumorali e di cancri delle mucose, tra cui il più diffuso è quello del collo dell’utero, ma anche tumori in aree diverse dell’organismo, quali la bocca e la faringe. Alcuni studi prefigurano il ruolo di Hpv in alcune forme di cancro della mammella.

Il virus si trasmette sopratutto per via sessuale, anche per rapporti non completi (tanto che l’uso del preservativo non protegge con certezza dal contagio). Però il virus può essere veicolato anche dalle mani, e si ritiene che si possa trasmettere pure attraverso oggetti contaminati. In Giappone, uno studio ha rinvenuto l’Hpv nel 2 per cento delle ragazze vergini, indicando l’esistenza di altre modalità di diffusione del virus.La grande maggioranza di chi si è infettato elimina il virus dopo breve tempo, una parte ha invece un’infezione persistente, che può portare nel volgere di pochi anni a lesioni pre-cancerose, che evolvono, se non riconosciute, in cancro invasivo, la cui prognosi è purtroppo infausta. Il vaccino contro l’Hpv oggi disponibile evita oltre il 70 per cento delle forme pre-tumorali del collo dell’utero, il nuovo vaccino a 9 valenze che sta per arrivare ne evita circa il 90. Esse sono tappa obbligata verso il cancro, per cui tra qualche decennio le ragazze vaccinate vedranno ridursi in modo drastico l’incidenza di cancri correlati all’Hpv.

Ho fatto questa premessa per sostenere un concetto importante: la vaccinazione contro l’Hpv è prima di tutto una vaccinazione contro il cancro. La sua connotazione come “vaccinazione contro un’infezione sessualmente trasmessa” è riduttiva, perché non tiene conto del fatto che non conosciamo tutto sul modo in cui il virus si trasmette. È inoltre dimostrato che l’infezione di una donna che abbia rapporti sessuali con un solo uomo dipende comunque fortemente dal numero di partner del marito/compagno. Si può quindi essere infettati anche avendo un comportemento sessuale monogamico.

L’opportunità della vaccinazione è da alcuni messa in dubbio (perché indurrebbe ad una maggiore “libertà” del comportamento sessuale in età giovanile) contrapponendola allo screening (Pap test o Hpv test), che sarebbe misura sufficiente a contrastare il pericolo rappresentato da questo temibile virus. Anche su questo, vanno premessi alcuni dati: certamente lo screening è stato fondamentale per ridurre i casi e le morti per cancro del collo dell’utero negli scorsi decenni, e rimane una pratica cruciale e da diffondere il più possibile. Ma presenta anche alcuni limiti intrinseci: la sensibilità nell’identificare le lesioni pre-cancerose non è totale, per cui non garantisce la possibilità di trattare e guarire tutte le lesioni presenti. E poi non tutte le donne si sottopongono regolarmente allo screening, e in effetti, ogni anno si verificano in Italia ancora circa 2.900 casi di cancro invasivo del collo dell’utero. A differenza della vaccinazione, che è una misura di prevenzione “primaria” (in altre parole, chi si vaccina non sviluppa proprio le malattie da Hpv), lo screening serve per la prevenzione “secondaria”, che interviene quando la malattia e la lesione si sono già verificate, ma sono identificate in una fase “precoce” di evoluzione, pemettendo, mediante un intervento di asportazione della parte malata, di guarire quasi sempre dal cancro.

Per quanto riguarda i maschi
Quello che non si considera sufficientemente è che le lesioni pre-tumorali si verificano con grande frequenza in donne in età fertile, e che l’asportazione di porzioni del collo dell’utero necessaria alla cura comporta, in caso di gravidanza, un notevole aumento del rischio di parto prematuro (circa il doppio rispetto alle donne sane) e di aborto spontaneo (circa 3 volte superiore). Per quanto riguarda i maschi (che sono vittime di circa un terzo dei tumori da Hpv, soprattutto ad ano, faringe e bocca), va rimarcato che non esiste alcun test di screening che consenta di identificare precocemente la malattia tumorale. Infatti, la diagnosi di tali cancri avviene sempre in fase tardiva, determinando una sopravvivenza a 5 anni che è, rispettivamente, dell’11 per cento per il cancro anale, e del 23 per cento per il cancro oro-faringeo. La vaccinazione rappresenta quindi per il maschio la sola possibilità di ridurre l’incidenza e la mortalità per questi tumori.

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Credo che i dati esposti dimostrino in modo chiaro come noi abbiamo a disposizione due “trincee” di difesa contro le malattie provocate da Hpv: la prima è la vaccinazione, che previene tutte le patologie dovute al virus, impedendo lo sviluppo delle malattie ad esso correlate. In caso di (rara) inefficacia di questa misura primaria, lo screening – che deve continuare ad essere effettuato anche dalle donne vaccinate – rappresenta la seconda linea di difesa, ma funziona solo per le donne ed esclusivamemte per le malattie pre-tumorali del collo dell’utero, non per le malattie in tutte le altre sedi corporee.

Giusti i 12 anni
Mentre lo screening va ripetuto molte volte nel corso della vita della donna, il vaccino protegge per almeno dieci anni – abbiamo iniziato a vaccinare dieci anni fa – e forse per tutta la vita. La probabilità che la vaccinazione, eliminando alcuni ceppi di Hpv, possa favorire l’emergere di altri ceppi va sorvegliata, ma è altamente improbabile per motivi biologici che differenziano notevolmente l’Hpv rispetto ai batteri sottoposti alla “pressione” degli antibiotici, e tutti i dati raccolti negli ultimi dieci anni lo hanno finora escluso.
Dobbiamo quindi utilizzare tutte le armi a nostra disposizione, vaccinazione e screening. Non è per nulla condivisibile, a mio avviso, l’affermazione fatta dal dottor Michele Grandolfo nell’intervista su Tempi del 18 maggio, sul migliore impatto degli investimenti in screening rispetto a quelli in vaccinazione. Contrapporre le due “trincee difensive” è un grave errore di prospettiva per tutto quanto ho argomentato prima. E non è neppure realistico pensare che la vaccinazione possa essere proposta più tardi rispetto all’età attuale (12 anni). È noto infatti da esperienze anche con altre vaccinazioni che, al crescere dell’età, diminuiscono progressivamente le coperture, riducendo notevolmente il potenziale preventivo della vaccinazione.

Una sessualità matura
Condivido la preoccupazione per messaggi distorti che possano essere da taluni veicolati in associazione alla proposta vaccinale, quasi che vaccinarsi tolga i rischi connessi all’attività sessuale: come già sottolineato dal professore Federico Perno, una vita affettiva responsabile è complemento indispensabile a un progetto di vita felice, ed anche sana. Le infezioni legate a una attività sessuale promiscua sono molte e pericolose. Ma non è evitando o ritardando la vaccinazione contro l’Hpv che miglioreremo l’educazione dei giovani. Lo strumento vaccinale di per sé è di eccezionale valore, e va usato. Il momento della vaccinazione deve inscriversi in un progetto di educazione complessiva alla prevenzione e all’affettività, e potrebbe rappresentare un’occasione per complementare l’esempio di chi vive una sessualità matura.
Se è vero infatti, come paradigma, che il cristianesimo si trasmette per “invidia” positiva, vedere la bellezza di una vita piena ne rende desiderosi seguaci. Credo che anche nel campo affettivo ci sia bisogno di esempi concreti di coppie che abbiano realizzato le potenzialità della sessualità in un progetto di vita invidiabile. Genitori ed insegnanti sono i primi a poter operare questa educazione, ma pure noi operatori sanitari possiamo, oltre a curare e prevenire, anche dare testimonianza di una vita affettiva piena di attrattiva umana.

Paolo Bonanni è professore ordinario di Igiene. Dipartimento di Scienze della salute, Università di Firenze

Foto Ansa

Tags: educazione sessualepapilloma virusvaccini
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