
La domanda che mancava
Se non andiamo errati, l’unica intervista rilasciata a un organo di stampa italiano dopo la morte di Aleksander Litvinenko da Vladimir Bukovskij, il leader storico dei dissidenti sovietici approdati in Gran Bretagna e della nuova ondata di critici del sistema russo fuoriusciti di cui faceva parte Litvinenko, è quella a firma Bonini-D’Avanzo apparsa su Repubblica il 9 dicembre. Un certo numero di osservatori sono convinti che il suo nome faccia parte di una lista di personalità da abbattere in cui erano inclusi anche Litvinenko e Anna Politovskaya. Stranamente, tutta l’intervista ruota attorno all’inattendibilità delle accuse di Scaramella contro Prodi. Su killer e mandanti dell’omicidio e sui rischi che Bukovskij e altri critici di Mosca corrono, nemmeno una parola. Abbiamo cercato noi di allargare il discorso con il decano dei dissidenti sovietici.
Signor Bukovskij, lei ha rilasciato un’intervista alla Repubblica. Ha letto quello che è stato scritto sul giornale?
No, non leggo l’italiano.
Quasi tutte le domande riguardano Mario Scaramella e il suo tentativo di collegare Prodi al Kgb. E le sue risposte sembrano implicare che questo legame non esiste.
No, non ho detto questo. Ho detto che non so se questo legame esista, ho detto che non possiedo documenti che lo provino. Io posso solo dire quello che c’è nei documenti in provenienza dal Comitato centrale del Partito comunista di cui dispongo. Comunque, l’ho detto a Repubblica e alla Rai, in mia presenza Litvinenko disse a un europarlamentare britannico, Gerard Batten, che lui aveva un’informazione che collegava Prodi al Kgb. Non è una mia informazione: io ero solo presente. L’europarlamentare ha fatto un’interrogazione all’europarlamento su questo. Questo deve aver messo in movimento Scaramella, che è venuto a farmi richieste su Prodi. Ma io gli ho detto che non avevo nulla. La fonte prima della notizia, Trofimov, è morto.
Ha parlato di altre cose nel colloquio coi giornalisti di Repubblica?
Abbiamo parlato a lungo del caso Litvinenko, che cosa abbiano pubblicato non so, non leggo l’italiano. È vero che erano particolarmente interessati a Prodi, Scaramella e Guzzanti, che conosco molto bene.
Credo che la domanda che ogni giornalista le dovrebbe fare, e che sicuramente anche i colleghi di Repubblica e della Rai le avranno fatto, è: chi pensa che abbia ucciso Litvinenko, e perché?
Ho fatto numerose dichiarazioni su questo argomento. A mio parere è stato ucciso su ordine del governo russo. E loro stessi lo hanno veramente chiarito pochi mesi fa che avrebbero ucciso gli oppositori all’estero. In giugno di quest’anno la Duma ha approvato una legge che dà al presidente il potere di usare le forze di sicurezza come “squadroni della morte” per colpire quelli che chiamano “gli estremisti” sul territorio russo o all’estero. Hanno anche emendato la legge che definisce cosa rientra nella definizione di estremisti, allargandola in modo da inserire cose come la critica al regime attraverso pubblicazioni, o insulti alla dignità nazionale. Entrambe le cose sono molto vaghe in termini legali, in termini pratici all’esecutivo è stata data carta bianca per uccidere chi vuole. Ma ancora più importante è il fatto che, dopo che quella legge era passata, il numero due della nomenklatura del Cremino, il ministro della Difesa Ivanov, dichiarò pubblicamente che la lista dei potenziali bersagli era già compilata. Ora, di cosa altro ho bisogno per dubitare che è stata approvata una legge che autorizza l’uccisione di persone? In quel momento io e Oleg Gordievskij (un ex spia sovietica rifugiata a Londra, ndr) abbiamo scritto una lettera sul Times per attirare l’attenzione dei leader mondiali, alla vigilia del summit del G8 di San Pietroburgo, sul fatto che stavano legittimando questa svolta, e che dovevano cancellare il summit di San Pietroburgo. Non è stato fatto, ed ecco che poi abbiamo avuto le uccisioni di Litvinenko e della Politkovskaja, due nomi che erano sicuramente sulla lista del ministro Ivanov.
Lei si sente personalmente minacciato da questi sviluppi? Anche perché è stato definito “un associato di Berezovskij”, l’oligarca nemico giurato di Putin.
Non sono un associato di Berezovskij, lo conosco, ma ci vediamo soltanto ai funerali. Non gli rendo alcun servizio, non siamo in contatto, non lavoriamo insieme. Comunque io sono minacciato da una vita. Ho cominciato ad oppormi apertamente al regime totalitario sovietico quando avevo 16 anni, e l’ho pagata: sono stato dodici anni in prigione, nei campi di lavoro, hanno tentato due volte di uccidermi, e alla fine mi hanno cacciato dal paese. È così normale per me che non ci faccio caso, è, diciamo, un “rischio professionale”.
Pensa che il rischio ora sia cresciuto o sia lo stesso di prima?
Penso che sia come prima, e comunque non ci faccio molto caso. È la politica giusta: ho 64 anni e sono ancora vivo.
Perché, secondo lei, le reazioni europee sono così timide? È stato sparso un veleno terribile in vari paesi, eppure.
Penso che il governo britannico stia aspettando i risultati dell’inchiesta della polizia prima di reagire. Ma dovranno reagire. Perché, cosa è successo in termini legali? È stato un atto di aggressione, addirittura un’aggressione nucleare contro un paese neutrale. Uccidere un cittadino britannico su suolo britannico da parte di agenti di una potenza straniera è un atto di aggressione. E il paese aggredito potrebbe invocare il capitolo 5 del trattato Nato: l’attacco a un paese membro è un attacco a tutti. Credo che tutti in Europa stiano aspettando la reazione del Regno Unito, perché loro sono la parte lesa.
Signor Bukovskij, queste domande che le ho fatto sono le stesse che le hanno fatto Repubblica e la Rai?
Più o meno. La Rai mi ha chiesto molto circa i miei rapporti con Litvinenko, molto meno su Prodi e Scaramella. Non ricordo bene tutto quello che mi hanno chiesto quelli di Repubblica. Dice che hanno scritto solo quello che ho detto su Prodi e Scaramella? Beh, si vede che avevano un’agenda politica.
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