La dittatura del desiderio

Di Rodolfo Casadei
05 Maggio 2005
IL SOCIALISMO DI ZAPATERO RIEMPIE IL VUOTO DI IDENTITÀ CONFERENDO A CIASCUNO IL POTERE DI ESSERE QUEL CHE GLI PARE. COSì ATTACCA CHIESA E FAMIGLIA. MA A RIMETTERCI È LA SPAGNA

«You can be anything you want to be. Just turn yourself into anything you think that you could ever be», cantava la miracolosa voce di Freddy Mercury, leader dei Queen, in “Innuendo”, inframmezzato al popolarissimo motivo del flamenco spagnolo, prima in versione tradizionale e poi in una maestosa versione pop con fughe di chitarre elettriche. «Puoi essere tutto quel che vuoi. Trasformati in qualunque cosa che tu pensi di poter essere». E se fosse questa la chiave di lettura del socialismo ciudadano di José Luis Zapatero, di quel socialismo che ha sostituito la dittatura del proletariato con la dittatura dei desideri? Due settimane fa un anonimo analista sul Foglio, per spiegare il radicalismo degli attuali governanti spagnoli, rievocava il clima degli ultimi giorni della dittatura franchista, allorché la gioventù politicamente repressa «trovava l’espressione della sua libertà nella “movida”, nella trasgressione di massa al tradizionalismo dei costumi (.). Oggi quella generazione è diventata adulta e trasferisce nei meccanismi più delicati della struttura sociale lo spirito banalmente trasgressivo delle discoteche di allora».

Dalla discoteca
alle leve del potere
Sì, la generazione che andava in trance ascoltando la chitarra elettrica di Brian May far propria la quintessenza dell’anima musicale spagnola adesso è andata al potere, e ha deciso di trasformare in realtà le suadenti parole cantate da Mercury, che paiono la versione post-moderna della tentazione del serpente nel giardino dell’Eden. Che altro è il matrimonio sessualmente indistinto con annesso diritto alla prole approvato dalla Camera bassa del parlamento? Che altro è se non il conferimento al singolo del potere di essere qualunque cosa la sua mutevole volontà gli detti: marito, moglie, padre, madre, maschio, femmina o nessuno di tutti questi? Che altro è il divorzio consensuale superveloce approvato a larga maggioranza (i popolari si sono astenuti, non si sono opposti), che si può ottenere dopo tre mesi dalla contrazione del matrimonio senza nemmeno un giorno di separazione legale, se non il potere di mutare a piacere la propria condizione: sposato oggi, single domani, qualcos’altro dopodomani?
La stessa visione del mondo anima le posizioni di Zapatero intorno a delicate questioni politiche come l’assetto istituzionale della Spagna e la sua coesione unitaria. Il leader socialista si oppone al piano del premier basco Ibarretxe che aprirebbe la porta alla secessione delle province basche dal resto del regno non per ragioni intrinseche, ma semplicemente perché ritiene che il piano non coincida con la volontà della maggioranza dei cittadini baschi. Ha infatti respinto la richiesta dei deputati del partito Popolare di denunciare l’incostituzionalità del piano, dichiarando che era meglio perseguire la sua sconfitta politica attraverso il voto regionale degli elettori baschi. Per Zapatero tutto si può fare, anche disfare la Spagna: basta che a deciderlo sia un’ampia maggioranza, secondo il principio esposto nella sua famosa intervista a Time: «Quel che vuole la maggioranza dei cittadini è giusto». E questo perché la mutevolezza, l’infinità varietà delle combinazioni, la categoria di possibilità declinata nella sua accezione diabolica, quella dell’ambiguità e del travestitismo, sono diventate in Spagna virtù politiche. Lo scrittore gay Eduardo Mendicutti ha ritenuto di fare un grosso complimento al premier spagnolo affermando: «Zapatero è un leader che esibisce lineamenti dolci, occhi chiari e affettuosi. Lui chiama questo “talante”, ma è chiaro che dovrebbe denominarlo, con orgoglio, femminilità. Come politico, il premier è apertamente bisessuale e da lì proviene il suo successo».

Da Paese drammatico
a Paese imbecille
Ma perché dopo trent’anni di parentesi democratica la Spagna ha deciso di passare dalla dittatura franchista alla dittatura dei desideri? Da dove arriva questa fregola di trasformare se stessi in qualunque cosa venga in mente, senza limiti di alcun genere? Viene dal vuoto di identità, ovviamente. Gli spagnoli stanno facendo del vuoto di identità la loro identità, perché il vuoto ha questo di bello: lo si può riempire in qualunque momento con qualcosa di sempre diverso. E qui viene in nostro aiuto il più geniale degli scrittori spagnoli contemporanei, quel Francisco Casavella di cui Mondadori manda in libreria Il giorno del watusso, una trilogia di oltre mille pagine che chiunque voglia capire in profondità la mutazione antropologica dei discendenti di Cervantes dovrà leggere. Per chi si accontenta dei riassunti, può bastare quel che dice Casavella nelle interviste a proposito dell’oggetto dei suoi romanzi: «il passaggio da un Paese drammatico ad un Paese imbecille». Che Stenio Solinas descrive così in un’ottima recensione della trilogia nella pagina culturale del Giornale: «Ragazzino di periferia e ladro di macchine in quel 1975 che vede l’agonia e la morte di Franco, il protagonista del Giorno del watusso si ritrova vent’anni dopo. a fare i conti con la propria identità per scoprire di non averne alcuna. è stato un ragazzo di strada e di borgata, è divenuto un anonimo impiegato di banca, si è trasformato nel faccendiere di una forza politica, ha fatto il pusher, il mantenuto, lo scrittore di strips. Nella parabola esistenziale di Fernando c’è in controluce il ritratto di un Paese che una dopo l’altra adotta e getta via maschere nella ricerca compulsiva di quella che possa andargli bene e che, invece, non esiste. (.) L’ambiguità della vita e dei comportamenti che ne discendono è l’ambiguità di una nazione in cui, privati di un nemico, gli antifranchisti non hanno più un senso, e, privati di un sostegno, i franchisti non sanno più cosa fare, una volta venuto meno il modello che grazie al suo scimmiottamento stabiliva un codice di riconoscibilità».

I tre nemici: Dio, patria e famiglia
Nella Spagna che fa del vuoto d’identità la propria identità, e del desiderio mutevole e senza limiti il criterio del diritto civile, il nemico è tutto ciò che impone limiti e norme, tutto ciò che richiama a un ordine permanente, sottratto alla disponibilità della volontà umana, e a responsabilità cui non ci si può sottrarre. I nemici del socialismo zapatero sono la Chiesa, che per bocca del cardinale Rouco Varela afferma: «Snaturare la figura giuridica del matrimonio nella sua sostanza significa imporre alla società nel suo insieme una visione irrazionale delle cose»; sono coloro che invocano il rispetto della Costituzione e dell’onore della Spagna, compromesso dal precipitoso ritiro dell’esercito dall’Irak; sono il matrimonio inteso come vincolo e assunzione di responsabilità durevoli. I nemici, insomma, sono Dio, patria e famiglia, espediente che permette a Zapatero di inscenare una commedia antifranchista che piace molto in Europa, ma che in Spagna potrebbe condurre ad esiti molto diversi dalla commedia. I piedistalli vuoti delle statue del Generalissimo fatte rimuovere con trent’anni di ritardo si riempiono di fiori e bandiere; alle tradizionali rivendicazioni autonomistiche di baschi e catalani si vanno ad assommare quelle di entità locali fino a ieri sconosciute come la regione di Bierzo a nord di Madrid e la valle di Aràn al confine con la Catalogna, che adesso vogliono il loro “piano Ibarretxe”; nelle aule di giustizia decine di terroristi islamici confessano piani eversivi che vanno ben al di là del ritiro delle truppe spagnole dall’Irak. Zapatero svetta sempre nei sondaggi, ma l’euforia dominante fa venire in mente la spensieratezza dei passeggeri sulla pista da ballo del Titanic in rotta verso la montagna di ghiaccio.

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