

«La sentenza contro Asia Bibi è un vero e proprio incitamento al crimine. L’offesa all’islam non c’è mai stata in realtà. Il giudice non ha tenuto conto di come si abusa con facilità della legge sulla blasfemia e ha emesso una condanna così dura». È quanto afferma all’agenzia AsiaNews Peter Jacob, segretario nazionale di Giustizia e Pace in Pakistan, in merito alla condanna a morte della operaia agricola di 37 anni emessa da un tribunale del Punjab lo scorso 7 novembre.
«Noi – continua Jacob – condanniamo in modo assoluto questo modo di fare e chiediamo al governo di agire per frenare gli abusi della legge sulla blasfemia». Asia Bibi, madre di due figli, è la prima donna ad essere condannata a morte per blasfemia ed è in carcere dal 2009. Secondo i giudici avrebbe offeso il profeta Maometto durante una discussione avvenuta di fronte ad alcuni colleghi di lavoro. In realtà la donna aveva semplicemente risposto alle colleghe, davanti a un pozzo, che definendola infedele la invitavano ad abbandonare il cristianesimo. Per questo Asia è stata prima picchiata e poi denunciata alla polizia di Ittanwali (Punjab) che l’ha arrestata con la falsa accusa di blasfemia.
La società civile in Pakistan – non solo le comunità cristiane – si sta mobilitando per il caso di Asia Bibi, la prima donna cristiana condannata a morte per blasfemia. «Sosteniamo Asia Bibi e organizzeremo un’ampia campagna di protesta in suo favore. Faremo tutti i passi necessari, a livello legale, perché il giudizio sia completamente capovolto in appello all’Alta Corte di Lahore. Il suo caso è emblematico dell’abuso della legge sulla blasfemia a danno delle minoranze religiose. Si tratta di patenti violazioni dei diritti umani», dichiara all’Agenzia Fides Mehdi Hasan, giornalista e accademico, presidente della Human Rights Commission of Pakistan (Hrcp), una delle Organizzazioni non governative più importanti e più diffuse nella società pakistana.
«Come Commissione per i diritti umani svolgeremo indagini accurate e credibili sul caso. Posso però già dire che tutti i casi registrati per blasfemia sono basati su false accuse, sono frutto di odio interreligioso o di settarismo. Non nutriamo alcuna fiducia nell’indagine annunciata dal governo tramite il ministro per le Minoranze religiose», rimarca Hasan. «Da anni – conclude – chiediamo di abolire questa legge, che è un cattiva eredità del passato: fu voluta dal generale Zia per tacitare l’estremismo religioso. Casi come quello di Asia Bibi impongono di continuare nel nostro impegno».
Anche Aslam Khaki, noto avvocato e studioso musulmano, si dice favorevole all’abrogazione della legge, raccontando di trovarsi spesso a difendere cittadini accusati falsamente di blasfemia «solo per motivi di ostilità religiosa o di settarismo». Nel caso di Asia Bibi, Aslam Khaki si dice pronto ad assumere, gratuitamente, la difesa della ragazza e suggerisce un duplice appello: uno presso l’Alta Corte di Lahore, dove si potrà chiedere all’accusa di presentare prove concrete; uno presso la Federal Sharia Court, dato che «la stessa legge islamica vieta la pena capitale per le donne e per i non-musulmani».
«La legge sulla blasfemia dovrebbe essere abolita ma il governo è debole e se provasse a farlo, i gruppi radicali islamici scenderebbero in piazza. Quello che si può fare, a questo punto, è cambiare almeno le procedure legali: per registrare ufficialmente una denuncia di blasfemia, non dovrebbe bastare una testimonianza, ma devono essere presentate prove concrete. Già questo sarebbe un passo avanti ed eviterebbe molta sofferenza. A livello giuridico, va notato che la Corte di appello capovolge il 95% delle condanne per blasfemia comminate in primo grado: dunque è lo stesso sistema giuridico nazionale a riconoscere le scarsa fondatezza delle accuse. Ma intanto, molte persone soffrono discriminazioni, minacce di morte, anni di prigione».
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