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La cristiana Asia Bibi condannata a morte per blasfemia

Madre di due figli, è la prima donna in Pakistan ad essere condannata a morte per blasfemia ed è in carcere dal 2009. Secondo i giudici, avrebbe offeso il profeta Maometto durante una discussione avvenuta di fronte ad alcuni colleghi di lavoro. In realtà la donna aveva semplicemente risposto alle colleghe che, definendola infedele, la invitavano ad abbandonare il cristianesimo

Redazione
14/03/2012 - 17:49
Esteri
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«La sentenza contro Asia Bibi è un vero e proprio incitamento al crimine. L’offesa all’islam non c’è mai stata in realtà. Il giudice non ha tenuto conto di come si abusa con facilità della legge sulla blasfemia e ha emesso una condanna così dura». È quanto afferma all’agenzia AsiaNews Peter Jacob, segretario nazionale di Giustizia e Pace in Pakistan, in merito alla condanna a morte della operaia agricola di 37 anni emessa da un tribunale del Punjab lo scorso 7 novembre.
 
«Noi – continua Jacob – condanniamo in modo assoluto questo modo di fare e chiediamo al governo di agire per frenare gli abusi della legge sulla blasfemia». Asia Bibi, madre di due figli, è la prima donna ad essere condannata a morte per blasfemia ed è in carcere dal 2009. Secondo i giudici avrebbe offeso il profeta Maometto durante una discussione avvenuta di fronte ad alcuni colleghi di lavoro. In realtà la donna aveva semplicemente risposto alle colleghe, davanti a un pozzo, che definendola infedele la invitavano ad abbandonare il cristianesimo. Per questo Asia è stata prima picchiata e poi denunciata alla polizia di Ittanwali (Punjab) che l’ha arrestata con la falsa accusa di blasfemia.

La società civile in Pakistan – non solo le comunità cristiane – si sta mobilitando per il caso di Asia Bibi, la prima donna cristiana condannata a morte per blasfemia. «Sosteniamo Asia Bibi e organizzeremo un’ampia campagna di protesta in suo favore. Faremo tutti i passi necessari, a livello legale, perché il giudizio sia completamente capovolto in appello all’Alta Corte di Lahore. Il suo caso è emblematico dell’abuso della legge sulla blasfemia a danno delle minoranze religiose. Si tratta di patenti violazioni dei diritti umani», dichiara all’Agenzia Fides Mehdi Hasan, giornalista e accademico, presidente della Human Rights Commission of Pakistan (Hrcp), una delle Organizzazioni non governative più importanti e più diffuse nella società pakistana.

«Come Commissione per i diritti umani svolgeremo indagini accurate e credibili sul caso. Posso però già dire che tutti i casi registrati per blasfemia sono basati su false accuse, sono frutto di odio interreligioso o di settarismo. Non nutriamo alcuna fiducia nell’indagine annunciata dal governo tramite il ministro per le Minoranze religiose», rimarca Hasan. «Da anni – conclude – chiediamo di abolire questa legge, che è un cattiva eredità del passato: fu voluta dal generale Zia per tacitare l’estremismo religioso. Casi come quello di Asia Bibi impongono di continuare nel nostro impegno».

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Anche Aslam Khaki, noto avvocato e studioso musulmano, si dice favorevole all’abrogazione della legge, raccontando di trovarsi spesso a difendere cittadini accusati falsamente di blasfemia «solo per motivi di ostilità religiosa o di settarismo». Nel caso di Asia Bibi, Aslam Khaki si dice pronto ad assumere, gratuitamente, la difesa della ragazza e suggerisce un duplice appello: uno presso l’Alta Corte di Lahore, dove si potrà chiedere all’accusa di presentare prove concrete; uno presso la Federal Sharia Court, dato che «la stessa legge islamica vieta la pena capitale per le donne e per i non-musulmani».

«La legge sulla blasfemia dovrebbe essere abolita ma il governo è debole e se provasse a farlo, i gruppi radicali islamici scenderebbero in piazza. Quello che si può fare, a questo punto, è cambiare almeno le procedure legali: per registrare ufficialmente una denuncia di blasfemia, non dovrebbe bastare una testimonianza, ma devono essere presentate prove concrete. Già questo sarebbe un passo avanti ed eviterebbe molta sofferenza. A livello giuridico, va notato che  la Corte di appello capovolge il 95% delle condanne per blasfemia comminate in primo grado: dunque è lo stesso sistema giuridico nazionale a riconoscere le scarsa fondatezza delle accuse. Ma intanto, molte persone soffrono discriminazioni, minacce di morte, anni di prigione».

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