La crisi dell’Università e il futuro della democrazia liberale

Di Adolfo Scotto di Luzio
25 Novembre 2024
Adolfo Scotto di Luzio (Università di Bergamo) reagisce al saggio di Lorenzo Ornaghi sull'università, pubblicato su "Lisander", il substack nato dalla collaborazione tra Tempi e Ibl
Foto di Mikael Kristenson su Unsplash

La discussione sull’Università innescata dall’articolo di Lorenzo Ornaghi si è incentrata intorno alla questione, posta dallo stesso Ornaghi in cima al suo intervento, della mutazione dell’istruzione superiore. Mutazione per allontanamento da un tipo ideale e mutazione per trasformazione dei soggetti in gioco, studenti, professori, fino alle cosiddette università telematiche. Le periodizzazioni sono largamente iscritte in questo tipo di approccio: il Sessantotto, naturalmente (un po’ per tutto, ma soprattutto per quel grande feticcio che è l’avvento della società di massa, che con più precisione andrebbe indicata come società degli individui); e poi gli anni Duemila (per la legge Gelmini, e più in generale per la famigerata svolta neo-liberale), ma non (stranamente) la legge Ruberti, l’autonomia universitaria, la nascita di un ministero ad hoc che riunificava sotto di sé la direzione dell’Università e degli enti pubblici di ricerca. Per i professori universitari, l’autonomia è per lo più presupposta, ma mai veramente storicizzata.

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