La crisi dell’Università e il futuro della democrazia liberale
La discussione sull’Università innescata dall’articolo di Lorenzo Ornaghi si è incentrata intorno alla questione, posta dallo stesso Ornaghi in cima al suo intervento, della mutazione dell’istruzione superiore. Mutazione per allontanamento da un tipo ideale e mutazione per trasformazione dei soggetti in gioco, studenti, professori, fino alle cosiddette università telematiche. Le periodizzazioni sono largamente iscritte in questo tipo di approccio: il Sessantotto, naturalmente (un po’ per tutto, ma soprattutto per quel grande feticcio che è l’avvento della società di massa, che con più precisione andrebbe indicata come società degli individui); e poi gli anni Duemila (per la legge Gelmini, e più in generale per la famigerata svolta neo-liberale), ma non (stranamente) la legge Ruberti, l’autonomia universitaria, la nascita di un ministero ad hoc che riunificava sotto di sé la direzione dell’Università e degli enti pubblici di ricerca. Per i professori universitari, l’autonomia è per lo più presupposta, ma mai veramente storicizzata.
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