
La colletta che fa bene all’io
Perché tanti gesti di assistenza, pur fatti da cristiani, possono passare quasi senza lasciare traccia nella mentalità della gente? è importante chiederselo mentre si avvicina la “Giornata Nazionale della Colletta Alimentare” (sabato 26 novembre), che interesserà qualche milione di persone e che negli anni scorsi ha aperto il cuore e la mente di tanti. Spesso, infatti, avviene che un gruppo, un’organizzazione, un apparato (anche religioso) sostituisca l’io in azione. Quando ciò avviene, la carità smette di essere tale e diventa assistenza. Così, non si incontra nessuno e il più delle volte si finisce per imporre uno schema che con l’andar del tempo erode la coscienza del gesto stesso rendendolo generico, burocratico, disattento e nemico dell’imprevisto che si nasconde sotto la superficie del bisogno dell’altro. Chi fa assistenza non è mai contento, si lamenta di tutti e di tutto e finisce per invocare una giustizia utopica perché non capisce più a cosa serva la carità. Un modo diverso di vivere la carità si può intravedere guardando cosa succede a chi ogni settimana compie un altro gesto, quello del Banco di Solidarietà che rende, per così dire, stabile e continua la “Giornata di Raccolta del Banco Alimentare”. Riprendendo la vecchia tradizione della San Vincenzo, gruppi di persone portano sacchi di alimenti nelle case di famiglie indigenti, che vivono al di sotto della soglia di povertà. La caratteristica di questa opera è che la sua struttura, la sua organizzazione, sono i singoli io coscienti di quel che fanno. Il protagonista non è lo Stato, non è l’organizzazione della Chiesa, ma sono singoli io che si muovono presso parrocchie, quartieri periferici, caseggiati, aziende. E tra questi io ce ne sono alcuni che hanno acquisito questa coscienza diversa perché sono stati guardati con uno sguardo pieno di affezione e aiutati nel loro bisogno ultimo di comprendere il significato della vita. Per molti è una semplice amicizia umana: ad esempio, il coinvolgimento di un collega aperto a condividere qualcosa di più del lavoro in ufficio o un vicino di casa che non si chiude nel suo appartamento. Questi io guardano i bisognosi con la stessa passione per il destino che hanno a loro volta sperimentato su di sé. Perciò, distribuiscono il cibo, ma non si fermano a questo: se nasce una domanda più grande sono pronti a stare con l’altro coinvolgendosi totalmente. Ciò diventa ancora più vero per chi compie questo gesto da cristiano. L’abbraccio degli amici che l’hanno mosso è il segno carnale di un Dio divenuto compagno di viaggio, radice profonda di questo prossimo sconosciuto.
Così, sperimentano con questo prossimo sconosciuto ciò che dice Cristo: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». E così il gesto fatto per l’altro diventa per sé, fonte di corrispondenza infinita, risposta al proprio animo fatto per il Bene. Nella carità così vissuta nasce un inizio di giustizia.
* Presidente Fondazione per la Sussidiarieta
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