
L’Unione Europea non ha fretta di risolvere la crisi del gas

L’Italia, e non solo, ha fretta di trovare una soluzione comunitaria per rispondere alla folle corsa dei prezzi energetici. L’Europa, evidentemente, no. Il Consiglio europeo del 20 e 21 ottobre doveva essere l’appuntamento decisivo per approvare una strategia comune dell’Unione Europea, almeno per quanto riguarda il tetto al prezzo del gas. Invece anche questa volta non se ne farà niente e le proposte della Commissione europea, quando arriveranno, saranno discusse in un vertice straordinario dei ministri dell’Energia che verrà convocato dalla presidenza ceca a novembre.
La Germania fa da sola
Chi può, intanto, fa per sé. È il caso della Germania, che metterà sul piatto subito 91 miliardi per pagare l’acconto di dicembre della bolletta a famiglie, piccole e medie imprese, commerci e servizi (66 miliardi) e alla grande industria (25 miliardi). A marzo, invece, per frenare i prezzi e incentivare i tedeschi a risparmiare energia, Berlino investirà altri 100 miliardi circa e introdurrà un prezzo calmierato di 9-12 centesimi al chilowattora per l’80% del consumo, mentre il restante 20% resterà a prezzo di mercato.
Il piano è ben congegnato, perché mette insieme l’esigenza di dare sollievo a famiglie e imprese con quella di far fronte alla carenza di gas, incentivando il risparmio di energia. Peccato che non tutti in Europa possano permetterselo: la Germania appunto prevede di investire un totale di 200 miliardi, che molti in Europa hanno denunciato come illegittimo aiuto di Stato, risorse di cui non tutti dispongono tra i Ventisette.
Il gas è un problema a lungo termine
Il fatto che la Germania abbia finora bloccato ogni tentativo di trovare una soluzione europea alla crisi, facendo affidamento sulle proprie risorse, ha scatenato la reazione negativa di molti Stati membri. Secondo fonti di Bloomberg, il governo di Olaf Scholz sarebbe pronto ad approvare l’emissione di debito comune, altre fonti citate da Reuters sostengono la tesi opposta. Prima di novembre non si saprà dove sta la verità.
Intanto il governo Draghi, in attesa che si insedi il nuovo, continua a lavorare sugli approvvigionamenti. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è tornato a ribadire che «la sicurezza nazionale dipende dal rigassificatore di Piombino. La nave resterà lì tre anni, poi verrà spostata». Il rigassificatore però è imprescindibile altrimenti, ha sottolineato l’ad di Eni Claudio Descalzi, «potremmo rimanere sotto di 5-6 miliardi di metri cubi di gas nel 2023-24».
Se infatti per questo inverno il gas non dovrebbe mancare, lo stesso non si può dire per i prossimi anni quando sarà necessario sostituire il gas russo. «Le nostre stime ci dicono che a febbraio 2023 gli stoccaggi saranno passati dal 90 al 25-20 per cento», dichiara a Repubblica Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia. «La domanda è: come agirà l’Europa nel 2023 per riempirli nuovamente fino all’80-90% in modo da poter affrontare l’inverno?». Una domanda che non ha ancora una risposta. Se per la Russia servirà tempo prima di riuscire a sostituire i compratori europei, anche l’Europa faticherà a trovare nuovi fornitori. Se poi il discorso cade sul prezzo, ci sono poche speranze: nessuno può garantire contratti vantaggiosi simili a quelli dei russi.
Foto Ansa
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