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La laurea di Annastaciah, sopravvissuta al massacro di Garissa

I proiettili le mancarono la testa per un soffio. Si risvegliò in aereo, zuppa di sangue, superstite alla carneficina di 148 cristiani nel campus della sua università. Ma quella notte in Kenya i terroristi riuscirono solo a spezzarle le ossa, non la fede

Caterina Giojelli
27/09/2021 - 6:20
Esteri
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Cristiani in preghiera per le 148 vittime del massacro di Garissa
Cristiani in preghiera per le 148 vittime del massacro di Garissa (foto Ansa)

La notte del massacro di Garissa i proiettili mancarono la testa di Annastaciah Mikwa per un soffio, non il viso delle sue tre coinquiline, rannicchiate come lei sotto al letto. La stanza era buia, per assicurarsi di averle ammazzate tutte i terroristi iniziarono a sparare alle gambe delle ragazze. Annastaciah sentì i fianchi esplodere, le ossa spezzarsi, il sangue caldo inondare il pavimento. In fretta tutto svanì, il letto del dormitorio, le urla dei compagni, gli spari in corridoio.

Sono passati più di sei anni dalla notte del 3 aprile 2015 e dall’attacco sferrato dai miliziani di Al Shabaab al campus universitario di Garissa, nord est del Kenya, 150 dal confine somalo. La notte in cui furono trucidati 148 cristiani e a cui Annastaciah riuscì a sopravvivere per ritrovarsi, pochi giorni fa, a versare lacrime di gratitudine e commozione sul palco dell’università di Embu, l’attestato di laurea in Matematica e Fisica tra le mani. «Quando hanno chiamato il mio nome ho attraversato il viale dei ricordi, non riuscivo a credere che mi ero alzata dalla sedia e stavo camminando da sola senza assistenza. Ero arrivata in questa università storpia, torturata nell’anima e spinta su una sedia a rotelle, e ora stavo camminando a testa alta per ricevere la mia laurea e tornare a casa felice», ha raccontato all’International Christian Concern.

Il giorno del massacro di Garissa

Gli studenti avvertirono i primi spari all’alba. Gli jihadisti avevano ammazzato le due guardie ai cancelli e avevano fatto irruzione nel campus continuando a esplodere colpi fino ad asserragliarsi in uno dei dormitori, dove iniziarono in fretta a dividere i ragazzi musulmani dai cristiani: rilasciati i primi, messi in fila, decapitati, amputati di gambe, uccisi i secondi. L’assedio durò 12 ore: all’imbrunire il commando si fece esplodere.

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Tempi vi aveva raccontato le storie di Ayub, Isaac ed Elizabeth, storie raccolte dal blogger Owaahh perché le vittime di uno dei massacri più sanguinosi della storia del Kenya non restassero numeri senza volto. Ayub si era svegliato presto per la preghiera del mattino quando, nascosto in una stanza con un compagno, iniziò a mandare messaggi al fratello Daniel per raccontare cosa stava accadendo. L’ultimo sms ricevuto da Daniel diceva: «Non ci resta che affidarci a Dio». Poi più niente. Isaac fu tra i primi ad essere uccisi: del brillante studente di economia che amava la musica e il calcio non restò che un corpo freddo col cranio fracassato all’obitorio. Elizabeth era invece riuscita a chiamare il papà: «Stanno sparando dappertutto, non so se riuscirò a sopravvivere. Di’ alla mamma di pregare», poi un terrorista le aveva strappato il telefono di mano comandando al genitore di ordinare al presidente Uhuru Kenyatta di ritirare tutte le truppe dalla Somalia. E aveva attaccato. Quando il padre disperato provò a richiamare qualcuno gli rispose: «Vi avevamo dato due minuti per la risposta, ora vostra figlia sta con il suo Dio».

Il cammino di Annastaciah

Mentre accadevano queste cose Annastaciah annaspava svenuta sotto al letto. Si risvegliò su un aereo, la bocca riarsa, «avevo sete, ero inzuppata di sangue e non potevo muovermi. Mi hanno dato dell’acqua e poi sono svenuta di nuovo». Per mesi la ragazza rimase bloccata in ospedale, per anni subì interventi chirurgici per rimettere insieme il suo corpo ridotto a schegge di ossa, carne e muscoli dalla vita in giù.

Erano 32 quando raccontava il suo percorso di guarigione alla Bcc, sono 36 oggi che da sola ha raggiunto il palco per ricevere la laurea. E per ringraziare, non solo l’Icc che l’ha aiutata a pagare le tasse universitarie, ma la misericordia di un Dio odiato fino alla morte dai miliziani islamisti e di cui porta testimonianza camminando da sola quando aveva perso ogni speranza di guarire: «Se qualcuno è sopravvissuto all’attacco, parlo anche degli studenti musulmani, è stato solo per grazia di Dio. I terroristi volevano uccidere tutti noi che apparteniamo alla fede cristiana. Più di cento studenti sono sopravvissuti ma feriti gravemente, nove di loro sono morti in ospedale. Sono grata a Dio per avermi salvata». Dopo l’attacco all’università, l’ateneo si è svuotato. Non le cattedrali, non le messe.

Tags: Cristiani PerseguitatiGarissakenyaTerrorismo Islamico
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