La madrina del gender “censurata” è uno scandalo? Mai quanto le sue idee
Il Corriere la fa spicciola: «Bufera sul Guardian. Censurata l’intervista a Judith Butler», «una delle più note filosofe contemporanee», ha espunto l’attacco alle «femministe trans-escludenti», eliminato «ogni riferimento alla fazione del movimento femminista che rifiuta il concetto di genere», e «non è chiaro se le militanti anti-gender abbiano chiesto al quotidiano di rimuovere il riferimento: critiche all’uso del termine “terf” ci sono però state online».
Riassunto per chi non ci ha capito nulla: il Guardian pubblica una lunga e febbricitante intervista a Judith Butler, celebre pioniera americana delle teorie di genere a 31 anni dall’uscita del suo Gender Trouble (Questione di genere). Difficile condensarne i contenuti: Butler spiega che è un bene che la categoria di donna (e di uomo) cambino e debbano essere ripensate includendo i trans, ricorda che il genere è performativo, che non accade in un momento ma è sempre in corso, parla di identità, privilegio bianco, potere politico, divide il mondo in buoni e cattivi in base all’accettazione del gender, da una parte queer e femminismo trans includente che sa opporsi a razzismo, misoginia, omofobia, transfobia, capitalismo, distruzione della terra, dei popoli indigeni eccetera, dall’altra i fissati col sesso biologico che si oppongono al gender alimentando tutti i soprusi e le disuguaglianze della terra. Insomma per Butler «l’ideologia anti-gender è uno dei ceppi dominanti del fascismo dei nostri tempi. Quindi le femministe radicali trans escludenti non faranno parte della lotta contemporanea contro il fascismo».
Litania di Butler sul femminismo anti gender
Questo virgolettato, piccola parte di un feroce attacco al femminismo “gender critical” («femministe che non credono che le donne trans siano donne», le liquida Butler) accostato all’estrema destra e alla xenofobia con tanto di utilizzo dell’acronimo “terf” (trans exclusionary radical feminist, termine diventato un insulto e per questo “bandito” da testate come l’Economist), non si trova nell’intervista pubblicata dal Guardian. Il Corriere ripubblica tutto, scandalizzato dalla censura del pensiero della filosofa che «ha messo in discussione la naturalità dell’identità di genere», spiegando che «il genere è un costrutto culturale»; e lo fa alludendo a una cessione alle pressioni delle femministe radicali e alle critiche inferocite degli utenti social. Le cose non stanno davvero così – e vedremo come –, quello che è interessante è che al Corriere sembra importare moltissimo di questa “censura” dell’attacco alle “terf”, quasi nulla di centrare il pensiero sconclusionato di Butler.
«Con questa idea che la categoria di donna cambi in continuazione per accogliere qualsivoglia identità di genere mi pare che Butler, un tempo brillante funambola delle parole, abbia completamente perso il senso della realtà. E il Corriere le dà una mano: Butler non entrò nel dibattito filosofico e politico con Gender Trouble perché sosteneva che il genere fosse un “costrutto culturale” (così nel pezzo di Elena Tebano, ndr). Cosa sulla quale potremmo anche essere d’accordo: banalmente, una “costruzione” del genere è aspettarsi che chi nasce donna debba fare il punto croce e non giocare a rugby, o chiuderla in casa e vietarle di studiare, come i talebani in Afghanistan. No, Butler si era spinta molto più in là: aveva detto che il sesso era un “costrutto sociale”».
Dal gender ai bimbi ormonizzati
Giornalista, scrittrice, attenta lettrice di Butler, Marina Terragni è tra le donne più accusate di femminismo trans-escludente d’Italia. La stessa Tebano l’ha ascritta quale esponente di punta alle “terf” in un pezzo contro le femministe «critiche del genere che si oppongono al ddl Zan», un articolo che ha scatenato un diluvio di mail e proteste all’indirizzo del direttore Fontana contro l’uso disinvolto di un insulto. «E bene ha fatto il Guardian a censurarlo – dice a Tempi -. Posto che in tanti anni di femminismo militante non ricordo un solo episodio di cosiddetta “trans esclusione”, prima di concionare di genere e “terf” bisognerebbe intendersi su cosa ha detto Butler. Figuriamoci se il femminismo si oppone al genere come costrutto sociale o alla critica degli stereotipi di genere. Anzi, anche di fronte al tragico fenomeno dell’ormonizzazione dei bambini il femminismo radicale continua a ripetere: non ci sono corpi sbagliati».
Terragni ha denunciato a più riprese e con forza durante il dibattito sul ddl Zan, dove conduce la vulgata butleriana e la politicizzazione del genere: dritta allo stravolgimento dei corpi e al trattamento farmacologico dei bambini “non conformi”. Una deriva (leggere il suo ultimo articolo sul FeministPost) che molti paesi occidentali, dalla Svezia al Regno Unito, dall’Australia all’Arkansas, stanno arginando imponendo limiti o divieti all’utilizzo di bloccanti ormonali (criticati non da ultimo da Lancet), «un conto è promuovere la significazione di sé promuovendo la libertà dagli stereotipi: se mia figlia vuole giocare a rugby che lo faccia. Un conto è mastectomizzarla o imbottirla di ormoni a 16 anni: bisogna privilegiare, dove ci sia sofferenza, il percorso psicoterapeutico. Ricordiamo che l’epidemia di transizione tra le ragazze si presenta oggi come la nuova anoressia».
Dall’anoressia alla disforia
Terragni ha scritto tanto (qui un pezzo davvero efficace) sulla riduzione del corpo materno a campo di battaglia, la sofferenza dei detransitioners che non possono tornare indietro (ricordate il caso di Keira Bell?). «Il primo movimento delle donne sofferenti per il dominio è stata l’emancipazione: essere, pensare, vivere come uomini secondo la logica paritaria. Il secondo e terzo movimento sono due facce tragiche dell’emancipazione vissuta nella carne: l’anoressia è stata lo strumento per disincarnarle dal corpo femminile (arrestandone il ciclo, facendo sparire le forme femminili), arrestarne il corpo materno. Con la disforia, diagnosticata oggi per qualunque forma di disagio o depressione di una adolescente, entrano in gioco strumenti chimici e chirurgici: il corpo materno viene distrutto».
Chi era dunque Butler? Una brillante studiosa di Hegel, “allieva” di Michel Foucault e Jacques Derrida di giorno, e un’assidua frequentatrice di bar gay e drag queen di notte, «da qui l’uso di un linguaggio pescato dalla french theory che approda alla definizione della realtà materiale del sesso come “costruzione normativa”. Ma dall’uscita di Gender Trouble non ci sono state più “illuminazioni”, solo un declino teorico e produzione di libri tutto sommato insignificanti. Leggendo l’intervista poi non si può che trovare Butler confusa su se stessa, sull’uso dei termini genere e sesso assegnato alla nascita, quello di trans e donne trans, per non parlare della zuppa tra femminismo, fascismo, razzismo e quant’altro. A parte la litania sulle “terf” cara a Elena Tebano del Corriere direi che non c’è niente da segnalare».
La censura e l’uomo nudo di Los Angeles
A proposito della censura: Vice ha ricostruito con dovizia di dichiarazioni di Guardian, Butler e Jules Gleeson, adirata autrice dell’intervista, come sono andate le cose. Butler inizia il suo papello contro il femminismo trans-escludente rispondendo a una domanda della giornalista sul caso della lussuosa Wi Spa di Los Angeles (Tempi vi aveva raccontato il fattaccio qui), dove la veemente protesta di una donna per la presenza di un uomo nudo “a pene libero” nell’area femminile, frequentata anche da minorenni, aveva scatenato un putiferio: manifestazioni in difesa dell’uomo che si identificava come una donna e in base alle leggi della California aveva il diritto di accedere agli spazi femminili, cortei di sostenitori dei diritti dei trans contro quelli dei diritti della donna. Un Far West con tanto di polizia in tenuta antisommossa a cui avevano partecipato i Proud Boys, l’estrema destra e al contempo la stampa liberal che difendeva i diritto di una donna con «i genitali apparentemente maschili» (il virgolettato è dell’editorial board del Los Angeles Times).
Ebbene qualche giorno prima dell’intervista a Butler era stato emesso un mandato di cattura: il povero signore col pene che si identificava come donna è noto alla polizia come molestatore sessuale dal 2006, ha una lunga storia di accuse di atti osceni. Difficile giustificare l’attacco feroce di Butler sulla transfobia delle femministe in relazione al caso senza citarne gli sviluppi. Così la giornalista propone di sostituire la domanda cambiando l’esempio, sostituendo cioè al caso della Wi spa quello del Texas: in breve, in America la Heritage Foundation che ha ospitato prospettive di femministe “gender critical”, ora spinge per la legge più restrittiva sull’aborto promulgata dal governatore Greg Abbot. La domanda verte sull’equazione movimenti femministi anti gender uguale sodali con l’estrema destra. Il Guardian non le risponde nemmeno e questa è la storia della “censura” di Butler.
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