Jimmy,vita violenta di soldatino

Di Tamba Jimmy
13 Settembre 2001
La testimonianza di un ragazzo della Sierra Leone rapito dai ribelli del Fronte Rivoluzionario Unito mentre stava passando le vacanze con alcuni suoi compagni di scuola. Era il 1996 e Jimmy aveva tredici anni. Da allora per tre anni, fino al ‘99, è stato costretto a fare il soldato. L’intervento che terrà alle Nazioni Unite di Jimmy Tamba

Era il 1996

Me la ricordo come una delle peggiori esperienze della mia vita. Sentendo degli spari provenienti da non molto lontano, io e altre persone corremmo verso il più vicino cespuglio per nasconderci, ma avvistammo cinque uomini armati avanzare verso di noi. Cercammo di correre, ma ci dissero di stare fermi, che erano soldati dell’esercito della Sierra Leone e che erano venuti a liberarci dai ribelli. Ci ordinarono di seguirli e ci diedero due alternative: seguirli o essere uccisi. Così fummo portati in un accampamento dove c’erano circa mille persone. Non c’era modo di scappare e io ero triste perché per la prima volta mi trovavo in presenza di uomini armati. Dopo sei mesi fui trasferito in un altro campo per essere sottoposto con altri ad un addestramento per diventare guerrigliero. Ci diedero delle pistole e ci dissero che la pistola era la nostra vita, i nostri genitori, la nostra famiglia e il nostro cibo.

Combattevamo continuamente

Una delle peggiori esperienze che feci fu quando andammo in missione per procurarci del cibo. Catturammo un uomo di circa 50 anni e gli chiedemmo di indicarci dove potevamo trovare del cibo, ma lui replicò: «Bambini miei, io sono straniero qui. Non conosco questa comunità, così non so dove trovare del cibo per voi». Il capo pensò che stesse mentendo e mi ordinò di picchiarlo. Cercai di rifiutare, ma sarei stato ucciso per essermi rifiutato di obbedire. Dopo un lungo periodo senza sentire il rumore degli spari, i capi dei ribelli dissero che dovevamo attaccare Kabala, nel nord del Paese. Era il 1999. Avevamo in mente di passare attraverso la grande città di Mongo Bendugu in cui stazionava il contingente della Guinea. Combattemmo, ci sgombrammo la strada e formammo la nostra base nella città. Combattevamo continuamente. Io rimasi con gli uomini, diretto a Koinadugu, a 10 miglia da Kabala. Gli altri portarono a compimento con successo le loro missioni e stazionarono nella città di Kabala per tre giorni. Poi vennero scacciati dalle truppe Ecomog e si unirono a noi a Koinadugu.

Un buon amico

Una volta ebbi un amico, un buon amico, un maggiore (Sla/Afrc) a capo delle comunicazioni che era chiamato “Pronto”. Mi chiamò e mi prese l’arma, mi domandò se ero andato a scuola. Gli raccontai la mia esperienza scolastica. Avevo sedici anni. Mi disse che voleva mi unissi a lui per insegnarmi ad usare un set di comunicazione. Imparai molto bene e divenni famoso tra i miei compagni al punto che non mi chiamavano più col mio nome, ma “Giovane Pronto”. Venni assegnato ai quartieri generali dove c’erano gli ufficiali graduati. E il mio compito era di passare e ricevere messaggi per loro. In quel periodo tentai di scappare, ma caddi in un’imboscata. Mi presero e mi dissero: «Giovane Pronto, vuoi scappare e fare trapelare i nostri segreti?» Dissero che mi avrebbero dato un regalo che non avrei più dimenticato per tutta la vita: fui marchiato a fuoco con le lettere Ruf sulla destra del petto. Nel dicembre del 1998, ci fu ordinato di attaccare la capitale Freetown. Riuscimmo nell’intento e restammo lì per tre settimane. Tentai invano di trovare i miei genitori. Poi fummo cacciati in un’area denominata Okra Hill e facemmo base nella West Side. Restammo lì per circa quattro mesi fino a quando ci chiamarono per il “cessate il fuoco” a sottoscrivere l’accordo di pace a Lomé, nel Togo. Fortunatamente per me e gli altri il governo chiese che i ribelli rilasciassero i bambini e le persone anziane nella giungla.

La mia libertà

Fui preso sotto la custodia del maggiore che mi portò dai rappresentanti del Family Homes Movement (Fhm) che si prendono cura dei bambini e delle persone povere. Mi affidò a padre Berton, fondatore e direttore del Fhm. Padre Berton si prese cura di me facendomi concludere gli studi liceali e fece di tutto per incoraggiarmi e farmi dimenticare la giungla. Ma ero ancora triste perché i miei amici si allontanavano da me chiamandomi “ribelle” e non c’era modo, per me, di negarlo, perché il segno, il marchio Ruf era sulla mia pelle. Allora, mentre eravamo ad una conferenza sui bambini vittime di guerra che si teneva a Winnipeg, padre Berton trovò un dottore per cancellare il marchio dal petto. Non lo dimenticherò mai. Adesso sono felice perché da bambino-soldato sono diventato bambino-studente grazie all’aiuto di Fhm, Avsi, Cause Canada e Unicef. Ma ancora oggi c’è una cosa che mi tormenta: «Dove sono i miei genitori, dov’è la mia famiglia?»

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