“Aborto, Consiglio Europa bacchetta Italia: ‘Non obiettori discriminati'”. È meglio sviscerare un po’ i fatti prima di dare per veritiero quanto affermato dal titolo del sito di Repubblica secondo cui «l’Italia discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l’obiezione di coscienza in materia di aborto».
PLANNED PARENTHOOD. Innanzitutto: il Consiglio d’Europa non “bacchetta” né “rimprovera” l’Italia, ma ha «ha dichiarato “ammissibile” un ricorso della Cgil alla Corte sulla violazione dei diritti alla salute delle donne». Insomma, una cosa un po’ diversa. Tempi.it vi ha già raccontato la genesi di questo ricorso su cui il sindacato guidato da Susanna Camusso, spalleggiato dalla sinistra e dal Pd, insiste ormai da anni. Secondo quanto scritto nel ricorso, «le donne che cercano accesso ai servizi di aborto continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge». L’obiettivo, nemmeno troppo celato, è limitare la libertà di coscienza dei medici obiettori.
Le cose stanno proprio così? Innanzitutto c’è da sottolineare il fatto che il reclamo della Cgil, che risale al 2013, ricalca un precedente reclamo presentato (con successo) dall’International Planned Parenthood Federation European Network, il movimento internazionale per la “pianificazione familiare” legato all’omonimo colosso americano delle cliniche abortive.
I NUMERI. In secondo luogo, c’è da evidenziare il fatto che già a settembre, durante un’udienza davanti al Comitato europeo dei diritti sociali, organo del Consiglio d’Europa, il nostro governo aveva contestato i numeri e le conclusioni del reclamo presentando i dati contenuti nell’ultima relazione annuale sull’interruzione volontaria di gravidanza, relazione ad opera del ministero della Salute. Sono numeri ufficiali, secondo cui le criticità denunciate dalla Cgil non sussistono.
L’interruzione volontaria di gravidanza, infatti, si effettua «nel 64 per cento delle strutture disponibili», e in sintesi sono tre i parametri che dimostrano che a livello nazionale l’offerta del “servizio” non è affatto in pericolo: 1) in quanto ai numeri, mentre gli aborti sono pari al 20 per cento delle nascite, i “punti Ivg” in Italia sono pari al 74 per cento dei “punti nascita”; 2) confrontando i dati rispetto alla popolazione femminile in età fertile, ogni 3 strutture in cui si pratica l’aborto, ce ne sono 4 in cui si partorisce; 3) riguardo al carico di lavoro dei medici abortisti, su 44 settimane lavorative annuali, in Italia ogni non obiettore effettua 1,4 aborti a settimana, valore che rappresenta la media tra il minimo registrato in Valle d’Aosta (0,4) al massimo del Lazio (4,2).
A Strasburgo la Cgil aveva portato anche testimonianze di presunte azioni di mobbing esercitate in ospedali italiani nei confronti del personale non obiettore. Al ministero però – fu la difesa del governo – non sono mai pervenute denunce circostanziate di disservizi o di altre irregolarità.
Foto Ansa