Oltre che in tribunale – da noi citato per diffamazione, appuntamento per il giudizio in aula a Roma, 9 aprile – Il Fatto Quotidiano si appresta ad andare in Borsa. Un bel salto capitalistico. E così, l’house organ delle mani pulite, l’unico giornale al mondo che vive di carte giudiziarie e offre ai suoi affezionati lettori una dieta di scandali, in atto o in potenza, incarna la cifra della situazione italiana.
Ci sarà pure una correlazione tra l’eterna emergenza giudiziaria che ha portato un sacco di soldi ai suoi banditori e il tunnel in cui non si intravvede nessuna luce per l’Italia, da che solo in Italia non ci sono innocenti ma solo corrotti che attendono di essere smascherati.
Probabilmente occorreranno anni prima che anche da noi arrivi un Putin e una commissione di inchiesta. Non sull’ennesima bufala di storie del secolo scorso (dopo la trattativa stato-mafia, per quanti anni gli zanza ci racconteranno il milionesimo retroscena sui “misteri” di Moro e i “misteri “ delle stragi?). Ma sul sistema degli acquattati dietro le toghe rosse, nere e gialle. Sistema che ha reso possibile la sostanziale riduzione a lumicino magrebino di un Paese che una volta (governo Craxi, il corrotto per eccellenza) fu la quinta potenza mondiale e adesso, che pure è renziano, altro non è che una barzelletta buona per Van Rompuy e Barroso.
Però, tra le solite notizie deprimenti di giornata giudiziaria, c’è qualcosa nell’aria che promette bene. Non abbiamo ancora le evidenze necessarie alla dimostrazione, ma la sensazione è netta, anche alla luce di certi sommovimenti che stanno avvenendo altrove (vedi la Francia della fantastica Manif pour tous e Marine Le Pen). E la sensazione è che la pentola sta per scoppiare.
Schiacciati tra la dittatura manipulitista e le campagne moralistiche dei media, si sta infatti svelando l’impotenza a risollevare questa nostra povera e disgraziata Italia. Che sia Berlusconi o Renzi, si capisce, l’economia va sempre a rotoli e di riforme si riesce solo a improvvisare un elenco più o meno strombazzato, utile tutt’al più alla chiacchiera da talk-show.
Continuare a ripetere all’italiano medio il mantra delle riforme in effigie non tiene più. Meno che meno tiene l’idea che il far fuori quel poco di economia che funziona sia una cosa che fa sentire i suoi benefici influssi sulla vita dell’italiano che al mattino si alza e, dopo aver smoccolato per lo sciopero dei trasporti che in questa situazione economica non si capisce contro chi sia diretto, scopre che anche oggi c’è stata una retata e, per fare da pendant allo stimolo imprenditoriale che offrono i pm, un elenco aggiornato di fabbriche che chiudono. (D’altra parte, se un’azienda oggi rimane aperta vuoi che non sia perché inquina o perché c’è di mezzo la n’drangheta?)
Dunque, punto primo, come ammise un bravo procuratore di Udine citato da Tempi due settimane fa, i pm “cecchini” appostati per seccare e distruggere tutto ciò che di vivo rimane nel deserto del tessuto socio-economico italico, d’ora in avanti dovranno fare i conti con la possibilità espressa addirittura dal capo di Confindustria. E cioè che quando non ci sono più vie di uscita, si esce (e, nel caso, chi può si acquartiera in Svizzera).
Secondo, c’è uno scollamento evidente tra il riformismo annunciato dagli ultimi tre governi e la miseria reale da cui non riesce a muovere un passo una società annichilita dallo “scandalo permanente” (adesso c’è questa procura di Trani che dopo aver indagato niente meno che Standard & Poor’s, si candida a fare le pulci alla Organizzazione mondiale della sanità, visto e considerato che ci potrebbe essere del marcio nelle vaccinazioni che da circa un secolo si somministrano a miliardi di esseri umani).
Terzo, c’è un’evidente impasse nella sinistra che pure ha trovato nello scoppiettante Renzi una riscossa immaginifica, iperattiva e addirittura con tratti di autocinesi macchiettistica. Le strade si riempiono di spazzatura, i servizi pubblici non reggono più, la sicurezza non è garantita, i giovani vagano allo sbando. Via la politica, l’egemonia dei funzionari di procura e dei pennivendoli al seguito sta digerendo pure la sinistra che pensò bene di far risorgere la società alleandosi con la magistratura e il giustizialismo combattente.
Quarto, Grillo è il compiersi del dipietrismo 2.0, ma anche lui sembra avviato sul binario morto della chiacchiera surrealista.
Quinto, è difficile immaginare che nel clima di perenne repulisti che affossa tutto ciò che ha ancora un minimo di valore economico (caso Expo, Ilva, Finmeccanica, Eni eccetera) ci saranno riforme serie: contro le riforme serie si è già messo di traverso lo Stato “profondo” delle alte burocrazie e delle magistrature. (Avete notato come il governo ha già fatto marcia indietro alla sola ipotesi di tagliare qualche migliaio di statali o come, tra le tante privatizzazioni, non si nomini mai la Rai di Roma, 15 mila tra dipendenti e collaboratori, o le municipalizzate romane, altri 12 mila, tutti casi di “profondo rosso” che costano ai contribuenti molti più euro degli 80 euro promessi in busta paga da Renzi? Avete notato come i “costi standard” della sanità che hanno fatto efficiente la Lombardia adesso sono branditi giudiziariamente per far fuori la Lombardia e con ciò, avanti col tran tran dei buchi neri in sanità e in quelle regioni che si sono letteralmente mangiate il Pil italiano?)
A questo punto della paralisi e dell’irriformabilità del sistema, capitano cose come il referendum sulla secessione in Veneto. Ci hanno riso sopra. Ma non Repubblica. Quotidiano romano e d’establishment per eccellenza. Qualcosa vorrà pur dire.