
ITALIA BIZANTINA
Riflettiamo sulla preoccupazione, molto segnalata sui media, di individuare in Roma, nella sua Chiesa e nel suo Papa, le minacce più serie alla laicità dello Stato. E pensiamo alla promessa fatta al presidente dell’Arcigay Franco Grillini da Romano Prodi (vedi pag. 16); o all’impegno profuso dal diessino cattolico Sandro Antoniazzi (vedi vicenda di via Quaranta); o a certe astrusità di Emanuele Severino (che chissà quanti ippopotami deve aver visto volare, se ha visto scritto nella dottrina della Chiesa che «uno Stato totalitario che assuma all’interno del proprio apparato normativo la dottrina della Chiesa, fa vivere secondo la Chiesa, una società migliore di una democrazia che in nome della libertà volga invece le spalle alla verità cristiana», Corriere della Sera, 17 ottobre).
Chissà cosa ci guadagnerà la democrazia e lo Stato laico dalla manomissione ed espulsione dalla vita pubblica del cristianesimo. Chissà. Però magari non farebbe male riflettere sull’osservazione del filosofo russo Valdimir Solovev, a proposito dell’Impero di Bisanzio e di un certo suo frangente storico. «Se non si tenesse in conto il lungo lavorio anticristiano del Basso impero, non vi sarebbe nulla di più sorprendente della facilità e della rapidità che caratterizzarono la conquista musulmana. Cinque anni furono sufficienti per ridurre a un’esistenza archeologica tre grandi patriarcati della Chiesa orientale. Il Basso Impero ha voluto minare alla base l’edificio della pace cristiana attaccando il governo centrale della Chiesa universale; e nella vita pubblica ha sostituito la legge del Vangelo con le tradizioni dello Stato pagano. I Bizantini hanno creduto che fosse cosa lecita e degna di lode confinare il cristianesimo nel tempio e abbandonare l’agone pubblico ai principi pagani. Non poterono certo lagnarsi del loro destino. Hanno avuto quello che volevano: solo la potenza sociale e politica è caduta in mano ai musulmani, eredi legittimi del paganesimo».
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