Così l’islamizzazione delle scuole francesi continua indisturbata

Un professore racconta in un libro come sono cambiati gli studenti in Francia negli ultimi trent'anni e avverte chi nega il problema per paura di essere accusato di islamofobia. «Samuel Paty potevo essere io»

Fiori per Samuel Paty, il professore francese ucciso da un estremista islamico il 16 ottobre 2020

Parigi. È quasi sera quando sul suo telefonino appare una notifica del Monde: «Un professore è stato decapitato a Conflans-Sainte-Honorine». «Verifico l’informazione su altri media e ciò che leggo mi sconvolge. Verso le 22, trovo il video del padre di uno studente che lo denuncia. Sono sotto choc, ma non sorpreso. Il fanatismo che ha portato a questo vile assassinio l’ho visto crescere e diffondersi sottovoce nella scuola della République. Samuel Paty potevo essere io».

«Samuel Paty potevo essere io»

Laurent Valogne, il suo pseudonimo, insegna nelle scuole francesi dal 1990. Ha iniziato la sua carriera nella periferia parigina, nelle cosiddette Zep, le zone di educazione prioritaria, i quartieri difficili della République. Oggi, a 55 anni, insegna in un liceo, e nonostante la crisi della scuola si dice ancora “felice” di sensibilizzare i suoi alunni alla grande letteratura francese e ai valori cardine della Francia: la laicità, l’uguaglianza, la libertà d’espressione. Quei valori per cui è morto Samuel Paty, professore di storia e geografia del collège du Bois d’Aulne, decapitato dall’islamista ceceno Abdoullakh Anzorov nell’ottobre 2020.

Ma dinanzi all’ascesa prima surrettizia e ora sempre più dirompente dell’islamismo tra i banchi francesi, Laurent ha deciso di prendere la penna in mano e raccontare, in forma anonima, quell’ideologia totalitaria che sta stravolgendo il volto della Francia e perturba il quotidiano di migliaia di insegnanti nel silenzio assordante delle élite. In un libro, Ces petits renoncements qui tuent (Plon), questo docente lancia un appello alle istituzioni francesi che, per troppo tempo, hanno preferito dimenticare il problema dell’islamismo nel milieu scolastico, o peggio negarlo per paura di essere tacciati di islamofobia.

Cresce l’antisemitismo in Francia

«Insegno l’arte della caricatura e, da una decina di anni a questa parte, è diventato un tema esplosivo. Ne ho preso coscienza dopo l’incendio della sede di Charlie Hebdo nel 2011. Fin dall’inizio del corso successivo all’evento, quando abbiamo cominciato lo studio di un testo di Philippe Val (ex direttore di Charlie Hebdo, da anni costretto a vivere sotto scorta, ndr) sulle rappresentazioni del profeta Maometto nella religione sciita, una delle mie allieve si è tappata le orecchie. Non voleva ascoltare gli argomenti di Val, si sentiva insultata personalmente. Ero turbato. Altre due studentesse si sono a loro volta indignate», ha raccontato al Parisien l’insegnante, prima di aggiungere: «Questi studenti, sempre più numerosi, ritengono che non esista il diritto di fare delle caricature di Maometto».

In concomitanza con l’islamismo, cresce l’antisemitismo tra questi allievi, in gran parte di origini arabe e africane. «Hanno l’impressione di essere le vittime della Storia e considerano gli ebrei come i vincitori», racconta Laurent, evocando i disgustosi commenti antisemiti come “business della Shoah” e “pornografia memoriale”, espressioni tratte dagli spettacoli e dai video del comico Dieudonné e dello scrittore Alain Soral, megafoni dell’antisemitismo in Francia.

La solitudine dei professori, abbandonati dal governo

«La Shoah è il tabù assoluto», dice, prima di elencare gli episodi a cui ha assistito da insegnante: litigi violenti per le caramelle Haribo perché contengono gelatina di maiale, “haram”, proibita dall’islam; una ragazza che un giorno si rifiutò di togliersi i guanti durante un corso di chimica; allieve che all’uscita dalla scuola si coprono dalla testa ai piedi. «L’abaya, un velo che copre l’integralità del corpo, fatta eccezione per il volto, le mani e i piedi, ha fatto la sua comparsa. Sempre più ragazze lo indossano e talvolta si infilano anche i guanti alla saudita all’uscita da scuola. Questi modi di vestire non esistevano quindici anni fa», spiega. Nel libro, scritto assieme alla giornalista Carine Azzopardi, evoca anche la solitudine dei professori, abbandonati dalle alte gerarchie del ministero dell’Istruzione come lo è stato Samuel Paty, e le dimissioni di alcuni suoi colleghi dinanzi a situazioni divenute insostenibili.

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