Vaffa e rendicontazione. Si può dire che sono queste le due parole (al netto di scie chimiche, chip sottopelle e altre facezie) intorno alle quali il partito “non-partito” di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio ha costruito la sua fortuna elettorale. Ma come sembra dimostrare un articolo di Jacobo Iacoboni pubblicato oggi dalla Stampa, ormai il Movimento 5 Stelle sembra essersene completamente dimenticato. E se qualche vaffa ogni tanto ci scappa ancora, assai più imbarazzante è il tradimento del mantra dei rimborsi “restituiti” agli italiani. Dimenticata l’ispirazione a san Francesco, sbandierata da Casaleggio come un marchio pentastellato. Archiviato il “politometro” proposto da Grillo per «paragonare redditi e patrimonio dei politici al momento in cui entravano in politica con i redditi dei politici durante e dopo l’attività politica».
RESTITUZIONE UN CORNO. Ecco, scrive Jacoboni, «se lo applicassimo adesso [il politometro] vedremmo per esempio che nel 2013 (non un secolo fa) Luigi Di Maio dichiarava zero euro, e nell’ultimo anno ha dichiarato 98.471 euro». E pensare che durante il famoso Tsunami Tour «Grillo arringava le folle, “i nostri parlamentari prenderanno 2.500 euro al mese e restituiranno ranno il resto”». A quanto pare la Stampa si è presa la briga di spulciare buste paga e rendiconti degli eletti grillini e ha potuto ricostruire «una realtà completamente diversa». Con una precisazione. I numeri estrapolati dal quotidiano torinese non dimostrano «nulla di illegale», ma solo «la prova inoppugnabile che il grosso dei parlamentari cinque stelle», con un paio di «eccezioni virtuose» citate dal cronista, «vive ormai una vita distante da quella dei cittadini, e identica a quella dei politici degli altri partiti». La casta, insomma.
DIECIMILA EURO AL MESE. Ricordando poi come la «scarsa rendicontazione» sia stata – almeno in passato e «almeno formalmente» – l’accusa infamante con cui sono state giustificata «le espulsioni di tanti» dal movimento di Casaleggio, la Stampa procede a elencare le sostanziose cifre incassate dagli onorevoli “cittadini”. «Mario Giarrusso, parlamentare catanese (…) nella busta paga di novembre 2015 ha incassato 3.362 euro di quota fissa di indennità (restituendo una parte di 1.662 euro), più una quota di rimborsi e spese varie sbalorditiva: 10.066,07 euro». Diecimila e rotti euro in un solo mese giustificati come segue: «Alloggio, 1.880 euro; 1.182 euro di trasporti (spesa curiosa, considerando le varie agevolazioni dei parlamentari sui trasporti pubblici); vitto, 1.149 euro; attività sul territorio, 713; collaboratori, 4678». Nota a margine: si tratta rigorosamente di «voci genericissime» con nessun dettaglio ulteriore, secondo Jacoboni.
IL CASO DI MAIO. Ancora. «Carlo Sibilia a ottobre ha incassato 3.245 euro di indennità, più rimborsi per 10.516 euro», per i dettagli dei quali, vedi sopra. La Stampa spulcia anche le tasche di Luigi Di Maio, «aspirante leader del direttorio», che sempre a ottobre ha ricevuto cifre analoghe a quelle dei colleghi già citati, e che “giustifica” i 10.516 euro di rimborsi incamerati come spese relative ad «attività ed eventi sul territorio». Tutto lecito e sacrosanto per un parlamentare italiano ma, domanda Jacoboni, «non è una forma di finanziamento pubblico (sia pure indiretto) al Movimento, che diceva di non finanziarsi così?».
ABITI, MOTO E MUTUI. L’articolo prosegue impietoso parlando dell’esistenza di «decine di esempi di uno stile di vita più rilassato» rispetto all’asserito “francescanesimo” degli annunci originari: «Abiti assai più costosi, sedute quasi quotidiane di make up». Non solo. «C’è chi s’è comprato la moto costosa. Chi, mentre prima divideva casa con quattro colleghi, è andato a vivere dalle parti di piazza di Spagna», e anche chi, da perfetto esemplare dell’odiata casta, «rinegozia mutui favorevolissimi utilizzando la banca della Camera».
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