Information day su Luciano De Crescenzo, il Pappagone della filosofia

Di Tempi
09 Maggio 2002
Con tutto il rispetto dovuto all’intelligenza di Maurizio Costanzo, purtroppo non è sufficiente aver fatto carriera nel suo show per conservare il lume della ragione

Con tutto il rispetto dovuto all’intelligenza di Maurizio Costanzo, purtroppo non è sufficiente aver fatto carriera nel suo show per conservare il lume della ragione. Il cui sonno non genera mostri, ma più spesso illustri fanfaroni. Uno di questi, in spigliata carriera fin dalla Prima Repubblica, è lo scaltro Luciano De Crescenzo, ex ingegnere Ibm e pacioso partenopeo che, ammainando la bandiera della civilissima capitale dei Benedetto Croce, profittando dello stereotipo di una Napoli da cartolina, sono vent’anni che si racconta nei panni del gran divulgatore di filosofia. Adesso, però, ci scodella un libro che nientemeno pretende essere una “Storia della filosofia medioevale” e nient’altro sembra, invece, a giudicare dal saggio anticipatore sulle pagine culturali del Corriere della Sera (5 maggio), che una Settimana enigmistica in tono minore. E infatti, se da incipit di questo suo “trattato” storico-filosofico appuriamo che non tutti sanno che: «Come era messa la donna nel Medioevo? Diciamo male, anzi malissimo, un pochino peggio di come stavano le afghane sotto i talebani», il resto è tutta una scoperta da Pappagone, fondamentale la seguente: «L’anno che segna il passaggio della donna da essere inferiore a essere umano pari all’uomo è il 1968». Ora, con tutto il rispetto per i grandi editori, ci chiediamo se siano intelligenti, all’epoca dell’information day, operazioni editoriali come queste. Le quali, sull’onda di una firma per cui “basta la parola” a far cassetta, propinano al popolo una speciale sotto-cultura, che con la banale scusa della “divulgazione in pillole”, finisce con la “disinformazione in bufale” (ancorché in copp’a mozzariella). Non è che Luciano De Crescenzo sia tenuto ad aderire a idee che non gli appartengono. Si tenga pure, come disse lui una volta, la persuasione che la donna è come la vacca per il toro, più la si cambia, meno Viagra si usa (Panorama, 29.5.98). Però uno che pretende scrivere di storia e di filosofia, bisognerebbe che un po’ ne mastichi, dell’una e dell’altra. E invece no, sembra che aver suonato il piffero con Renzo Arbore conceda a Luciano De Crescenzo l’autorità storico-filosofica per scrivere che, nel Medioevo, sinonimo di “donna” era: “porta del diavolo”. O bella, e le donne angelicate dei Trovatori, dei siciliani, del notaio Giacomo da Lentini, dei cosiddetti siculo-toscani, dei Guinizzelli, Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante eccetera, per dirla con lo stile narrativo del nostro filosofo, “come erano messe”? E, solo per fare qualche nome, che dire di donne medievali come Sancia, consorte di Roberto d’Angiò re di Napoli, che trattò con il Sultano d’Egitto (mica con la moglie filopalestinese del banchiere europeo Duisenberg) o di regine e intellettuali di gran classe e potere come Eleonora d’Aquitania, Bianca di Castiglia, Matilde di Canossa, Eleonora d’Arborea, Chiara d’Assisi, Brigida di Svezia, eccetera? E venendo più ai tempi nostri, donne come Francesca Cabrini, una che, dicono gli storici, si adoperò in parole e opere al servizio degli immigrati italiani in America più che il ministero degli Esteri italiano, in quale frustrante condizione di essere inferiore si sarebbe dovuta percepire, in quanto donna e donna di Chiesa, essendo vissuta un po’prima del ’68? Ditelo a Luciano De Crescenzo: non basta avere la patente Mondadori per fuoriuscire dall’analfabetismo militante.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.