
Indonesia. «Ho visto i jihadisti decapitare mio padre e mio marito»

«La mattina in cui sono arrivati [nel nostro villaggio] hanno preso mio padre, l’hanno portato fuori di casa e l’hanno fatto sedere. Poi un uomo con la barba e il turbante l’ha colpito sulla spalla, gli ha tenuto giù la testa e l’ha sgozzato. Poi lo ha colpito ancora molte volte. A quel punto, ho preso i miei figli e sono scappata». Così Srikandi ha raccontato in esclusiva a Open Doors che cosa è successo il 27 novembre nel villaggio di Lemban Tongoa, distretto di Poso, nella provincia di Sulawesi centrale, in Indonesia.
Quel giorno otto terroristi islamici appartenenti al gruppo jihadista East Indonesia Mujahidin (Mit) hanno assassinato quattro cristiani, due dei quali sono stati decapitati e bruciati, dando alle fiamme diverse case e una chiesa. Tutti facevano parte della congregazione protestante Esercito della salvezza. La notizia dell’attentato, avvenuto in una zona non nuova a scontri religiosi, ha fatto il giro del mondo.
«HANNO DECAPITATO MIO PADRE DAVANTI A MIA MADRE»
Open Doors, come si vede nel video qui sotto, ha realizzato un reportage nella zona dove è avvenuto l’attentato e ha intervistato Srikandi, che ora vive con i suoi tre figli, la madre e la famiglia della sorella in un villaggio vicino a casa di parenti. «Non tornerò a casa mia, non riuscirei a sopportarlo dopo aver visto l’assassinio di mio padre e mio marito», continua la donna, che è riuscita a fuggire correndo a perdifiato per una strada impervia, guadando un fiume e percorrendo un passo montuoso.
Srikandi ricorda anche che cosa è avvenuto alla madre: «Quando sono fuggita con i miei figli l’avevano già presa e legata con le mani dietro la schiena. Lei gridava: “Uccidetemi!”. Ma loro hanno risposto che avrebbero ucciso solo gli uomini e hanno decapitato mio padre davanti ai suoi occhi, gettando poi via la sua testa. Poi hanno bruciato una casa, una chiesa e il mulino. Da lì le fiamme si sono estese ad altre case».
«DEVONO ARRESTARE I TERRORISTI»
Il governo ha dispiegato almeno 100 agenti per dare la caccia ai terroristi, il cui leader storico, Santoso, ucciso a luglio, era anche il capo dello Stato islamico in Indonesia. Come spiega Asianews, il distretto di Poso dove si trova il villaggio colpito dall’ultimo attentato «è stato al centro di brutali conflitti fra cristiani e musulmani radicali fra il 1999 e il 2001. Le “rivolte di Poso”, come vengono definite, sono divenute ancora più violente dopo che gruppi di jihadisti indonesiani, che combattevano nelle Filippine, si sono unite ai gruppi musulmani nel Sulawesi. Questi hanno formato il gruppo che ha scelto il nome di Mit. In tal modo, Poso è divenuta anche la culla di molti gruppi radicali. Gli scontri etnico-religiosi si sono conclusi ufficialmente con la firma degli Accordi di Malino nel 2001 e nel 2002, ma la regione è rimasta un luogo di attività terroriste fino ad oggi».
Il presidente del Sinodo cristiano protestante (Pgi), il pastore Gumar Gultom, ha condannato l’esecuzione dei quattro fedeli e ha chiesto con forza al governo di inviare un team di esperti per aprire un’inchiesta, ricordando che negli ultimi mesi erano già state bruciate altre sei chiese. Srikandi ora chiede giustizia: «I terroristi devono essere trovati e arrestati, non saremo soddisfatti fino ad allora. Io stessa vorrei tagliare loro la testa, come hanno fatto con mio padre e mio marito».
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