Domenica 7 giugno si sono svolte in Indonesia le prime elezioni democratiche da oltre quarant’anni a questa parte. Le ultime risalivano al 1955, quando il generale Sukarno, per arginare il caos che ne era derivato, ritenne opportuno avocare a sé tutto il potere. Dai voti scrutinati finora (in un paese di 130 milioni di abitanti composto da centinaia di isole le operazioni di scrutinio vanno per le lunghe) risulta in vantaggio il maggiore partito di opposizione, cioè il Partito Democratico di Lotta guidato da Megawati Sukarnoputri, figlia di quello stesso Sukarno che pose fine alla neonata democrazia indonesiana. Per l’ipotetico nuovo governo democratico frutto delle elezioni i problemi maggiori sono legati alla complessa composizione etnica del paese. La prima prova è già dietro l’angolo: l’8 agosto infatti si terrà a Timor Est il referendum che dovrebbe decidere il futuro di questo disgraziato territorio, sottoposto negli oltre vent’anni di occupazione indonesiana dopo l’esodo dei portoghesi a una vera e propria pulizia etnica che avrebbe causato circa 200mila vittime. È probabile che il referendum, se condotto in maniera regolare, dia un esito favorevole all’indipendenza e costituisca un precedente per le varie popolazioni che da anni lottano per staccarsi da Giakarta. Proprio durante questo ultimo anno, con il progressivo cedimento del regime di Suharto (sostituito da Habibie), le tensioni sono venute a galla e si sono fatte più gravi. Scontri violenti legati a movimenti indipendentistici si sono avuti nell’Irian Jaya (isola di Nuova Guinea), nel Kalimantan (Borneo) e nella provincia di Aceh (Sumatra). A questi si devono aggiungere gli scontri di origine religiosa nell’isola di Ambon (Molucche) tra cristiani e musulmani e nel Borneo le aggressioni dei daiacchi ai danni dei molti immigrati dall’isola di Madura (Giava). Insomma, ci sono seri timori di una violenta balcanizzazione dell’Indonesia, che come Stato unitario è nata alquanto di recente, come pura somma di quanto rimaneva alla fine della Seconda guerra mondiale dell’impero coloniale olandese nell’area: centinaia di isole grandi e piccole per centinaia di popoli differenti per etnia, religione, condizioni economiche e storia. L’autoritarismo di Giakarta è stato finora il vero collante che ha tenuto insieme la nazione. La speranza è che il governo frutto delle elezioni possa effettivamente trasformare l’Indonesia in una democrazia capace di gestire con giustizia e saggezza il mosaico etnico che la compone.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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