Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Anders Breivik, il folle neonazista che uccise 77 persone a Utoya nel 2011, ha vinto una causa contro lo Stato norvegese, colpevole di violare i suoi diritti umani in carcere, al quale è stato condannato con una pena di 21 anni (il massimo in Norvegia, dove non esiste l’ergastolo).
Il caso ha destato clamore perché la cella in cui è rinchiuso Breivik è provvista di tv, console per videogiochi e uno spazio dove fare esercizio fisico. Ma poiché egli è costretto a trascorrere 22 ore da solo, i giudici norvegesi hanno riconosciuto che sì, in effetti, tale trattamento contrasta con la Convenzione europea dei diritti umani, che proibisce la tortura e i trattamenti degradanti. Sui siti internet hanno ricominciato a girare le immagini delle splendide celle norvegesi, dotate di tutti i comfort, che paiono quasi delle villette brianzole. Per i quotidiani online è stato un gioco da ragazzi ottenere clic d’indignazione sottolineando il contrasto tra il mostro e il trattamento riservatogli («persino la playstation»!).
Negli stessi giorni è uscito il rapporto Antigone sulle carceri italiane: in celle vecchie, fatiscenti e sovraffollate sono stipati detenuti (un terzo in attesa di giudizio) come nemmeno i maiali – secondo le norme europee – meriterebbero di essere trattati. Nel 2015 vi sono stati quasi settemila episodi di autolesionismo e 43 suicidi. È una situazione di tortura che va avanti da anni, ma, a parte qualche radicale o cattolico di buon cuore, nessuno ne parla. Mica che poi qualcuno si indigni per sbaglio.
Foto Ansa