
Sono almeno quattro i film imperdibili per capire qualcosa dell’Iran contemporaneo, anche se, va detto, il mondo della cinefilia trabocca di grandi registi persiani: Ebrahim Golestan, il compagno di Forugh Farrokhzad con cui girò lo splendido mediometraggio La casa è nera, Abbas Kiarostami (Il sapore della ciliegia), Asghar Farhadi (Una separazione). Cinema vario e diverso, spesso sofisticato e metaforico: una sorta di neorealismo aggiornato a oggi dove dietro la mancanza di tutto e la povertà di mezzi si nasconde una feroce critica al regime. Quattro film però hanno preso di petto il regime e ne hanno raccontato il volto implacabile.

Il primo è in realtà l’adattamento di una graphic novel, Persepolis (2007) di Marjane Satrapi, racconto in bianco e nero sulla vicenda della stessa Marjane costretta a scappare dall’Iran per evitare un matrimonio combinato e un clima violento e bigotto. È un film durissimo e rimane in testa la sequenza dei ragazzi che, sorpresi a bere una birra in casa propria, per sfuggire ai famigerati Guardiani della rivoluzione scappano sui tetti per poi finire spiaccicati per terra.

A rischio della propria pelle
Argo (2012) è il più noto di tutti oltre a essere stato campione di incassi. Storia incredibile ma vera: missione della Cia con agenti sotto copertura a Teheran per salvare un gruppo di funzionari americani nascosti dall’ambasciatore canadese dopo la fuga dall’ambasciata degli Stati Uniti presa d’assalto dagli studenti rivoluzionari. Grande film di regia, attori (Ben Affleck, anche regista), simboli (il cinema come spazio di libertà e come unica possibilità di salvezza): vinse diversi premi Oscar, meritatamente, e si ricorda per il fortissimo incipit in cui si riscostruisce l’assalto degli studenti.

Forse però il più duro attacco al Potere è Taxi Teheran di Jafar Panahi (2015), interamente girato in un taxi, quasi un documentario dove il regista stesso incontra, come semplice tassista, una quantità di personaggi diversi a cui rivolge domande scomode. Mi ricorda da un lato Comizi d’amore in cui Pasolini attraversava l’Italia per rivolgere medesime domande per così dire urticanti. Ma il film di Panahi è superiore e autenticamente commovente. Innanzitutto perché il regista rischiava e rischia la pellaccia: nel 2010 è stato condannato a 6 anni di prigione per propaganda contro il governo. Il film è quindi girato in clandestinità e in condizioni precarie: microcamere nascoste nell’auto, un montaggio realizzato in modo rocambolesco. L’opera, come già un suo precedente lavoro (This Is Not a Film, una sorta di diario autobiografico che Panahi aveva contrabbandato all’estero nascondendolo in un hard disk dentro una torta), riesce a superare le frontiere iraniane e ad arrivare a Berlino, dove vincerà l’Orso d’oro. Film commovente, vero e proprio viaggio nella coscienza critica del suo paese. Un grande manifesto di libertà della persona.

La resistenza (non) è uno sport
Simile per certi aspetti ai film di Panahi è Tatami – Una donna in lotta per la libertà, passato all’ultima Mostra del cinema di Venezia e uscito a marzo: è un film straordinario che, ispirandosi a una storia vera, mette al centro un’autentica battaglia per la libertà seguendo da vicino una giovane campionessa iraniana di judo che, durante i mondiali a Tbilisi, Georgia, viene minacciata dalla sua federazione: o ti fermi o ammazziamo la tua famiglia. Nel torneo, infatti, c’era la possibilità che la campionessa incontrasse l’avversaria israeliana. Un thriller politico più che un film sportivo. Le gesta atletiche trovano comunque spazio, e c’è anche il sospetto che il judo, in qualche modo, abbia una valenza simbolica: io che resisto e resisto sotto la morsa di un avversario molto più grande e più forte di me. Girato in un bianco e nero cupo e opprimente, strutturato in un climax crescente di tensione e ostilità, passerà certo alla storia per essere, tra le altre cose, il primo film codiretto da un israeliano (Guy Nattive) una iraniana (Zahra Amir Ebrahimi).
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Proprio con il coraggioso “Tatami” prende il via il prossimo 27 giugno al cinema multisala Le Giraffe di Paderno Dugnano (Mi) il ciclo speciale di “appuntamenti al buio” con Simone Fortunato e Tempi. Non sai di cosa stiamo parlando? Clicca qui per scoprirlo.
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