In Italia, si sa, la fiducia nelle istituzioni politiche non è mai stata forte, ma adesso è addirittura al lumicino; e tuttavia gli italiani continuano ad essere il popolo che frequenta più assiduamente le urne elettorali. A confermare l’incorreggibile contraddittorietà dell’animo italico giunge ora uno studio americano corredato di dati e tabelle relativi ai principali paesi occidentali che apparirà all’inizio dell’anno prossimo. Si intitola What is Troubling the Trilateral Democracies? (“Cosa sta mettendo in crisi le democrazie trilaterali?”), è stato realizzato da tre studiosi dell’Università di Princeton e alcuni dei suoi grafici e delle sue tabelle sono già stati anticipati da The Economist. Dai raffronti comparati realizzati da Russell Dalton risulta che fra i paesi Ocse solo in Giappone la fiducia nelle istituzioni è più bassa che in Italia. Gli imperscrutabili giapponesi, che negli anni Ottanta precedevano l’Italia, negli anni Novanta si sono insediati all’ultimo posto della classifica sull’onda degli scandali politici abbinati a depressione economica che a partire dal 1993 hanno investito il loro paese. Ma è importante notare che anche in Italia la sfiducia è aumentata nel corso del decennio attuale rispetto a quello precedente; c’era più fiducia nelle istituzioni negli anni del socialismo craxiano, del CAF e del tardo impero democristiano che non negli anni Novanta di Mani Pulite, dell’Ulivo e della Seconda Repubblica: leggere le statistiche per credere. Se poi si assume come metro di misura la pura media statistica, si scopre che fra il ‘68 e il 1997 in Italia la fiducia nel governo è calata di oltre l’1% all’anno, e che la percentuale di italiani convinta che “ai politici non importa di quello che le persone come me pensano” è passata dal 68% del 1968 all’84% del 1997. L’unico conforto, se tale si può definire, di fronte a questo panorama di decadenza sta nel fatto che anche gli altri paesi evoluti conoscono una lenta erosione della fiducia nelle forme rappresentative della democrazia. Nei primi anni Sessanta i tre quarti degli americani giudicava che quello che il governo a Washington faceva era quasi sempre giusto, nel 1998 la percentuale si era ridotta al 40%; nel 1978 il 55% dei tedeschi esprimeva fiducia nei deputati da loro eletti al Bundestag, nel 1992 la pensava a questo modo soltanto il 34%; ancora più vorticosa la discesa della fiducia nell’istituzione parlamentare presso i britannici: nei dieci anni dal 1985 al 1995 si è dimezzata passando dal 48 al 24%. Un motivo di conforto più serio si può trarre dalla classifica dei paesi per percentuale di votanti alle elezioni: l’Italia, pur vedendo diminuire costantemente la partecipazione alle urne, continua a essere il numero due (dopo la minuscola Islanda) fra i paesi Ocde. Più in generale, qualche consolazione deriva da un altro dato dello studio americano: gli analisti hanno trovato che, mentre criticano sempre più governo e parlamento, i cittadini dei paesi occidentali continuano a credere nei princìpi della democrazia: in media, tre su quattro ritengono che la democrazia sia la miglior forma di governo. Ovvero, come diceva Winston Churchill, che “la democrazia è la peggior forma di governo, escluse tutte le altre”.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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