Inclusione oppure eccellenza?
Nell’ampio e interessante dibattito avviato dall’intervento del professor Lorenzo Ornaghi è facile riconoscere l’emergere, a più riprese, del modo sostanzialmente schizofrenico con cui oggi la cultura prevalente affronta i temi dell’istruzione.
Quando si prendono in esame le classi in cui studiano i più giovani (fino alla maturità, per intenderci), la parola d’ordine è “inclusione”. La tesi è che il sistema scolastico debba essere innanzi tutto focalizzato sui deboli, quali che siano le ragioni di tale fragilità, e quindi si preoccupi di valorizzare al massimo quanto favorisce la crescita e lo sviluppo di tali soggetti. Nessun benpensante scriverebbe mai sul “Corriere della sera” oppure su “La Repubblica” che abbiamo bisogno di asili o scuole primarie per gli eccellenti, né – peggio ancora – che si debba tornare a quelle “classi differenziali” che scomparvero soltanto negli anni Settanta. Ancor meno sarebbe accettabile l’idea di lasciare indietro quanti fanno più fatica a studiare. Al contrario, è convinzione largamente condivisa che ognuno, a scuola, debba trovare una propria strada e che sia compito del sistema educativo favorire il pieno sviluppo delle sue potenzialità. […]
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