
Incipit
“Chi va là?”: comincia così la più celebre tragedia di tutti i tempi. Con una domanda. “Chi va là?”: siamo in una postazione di guardia, nel castello di Elsinore, in Danimarca. L’aria è greve, impregnata di cattivi presagi e di violenza. Una domanda improvvisa, che taglia le tenebre della notte, gridata con l’ansia di chi avverte che c’è qualcosa di strano sulla terra. Lo avrete capito, è l’inizio dell’Amleto. Un inizio terrificante, come una mitragliata che investa lo spettatore appena calatosi nel buio del teatro. Non è un caso che due recenti versioni della tragedia shakesperiana abbiano puntato tanto sulla forza di quell’incipit. Peter Brook, a Parigi, ha addirittura chiamato il suo Amleto “Qui est là?”. Federico Tiezzi, nelle sue straordinarie Scene da Amleto (sono state in tournée e mancano solo a Milano: speriamo che il Piccolo le ospiti) ha ambientato la scena sotto un tendone militare in cui ha radunato anche gli spettatori: una scena di intensità memorabile in cui viene per una volta interamente rispettato il tasso di violenza e di fisicità del testo di Shakespeare. “Chi va là?”. Il personaggio atteso, naturalmente, è lo spettro del padre. Che più avanti, nello stesso contesto, si svela ad Amleto. Raccontando l’orrore di cui era stato vittima. Particolare non secondario, al culmine dell’orrore annovera il fatto di essere morto assassinato, senza possibilità di chiedere perdono delle colpe. “Senza comunione e unzione e assistenza, con tutto il peso delle colpe sul mio capo, senza aver tirato le somme della mia vita!”, confessa lo spettro. Se qualcuno dubitasse della cattolicità di Shakespeare, è servito…
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