Ho avuto un flashback, l’altra sera in collegamento con Montecitorio. Parlava una deputata del movimento Cinque Stelle nell’aprile del 2013 ma in un momento sono stato teletrasportato indietro nel tempo. Veramente lei non parlava, più che altro ripeteva la lezione imparata a memoria. Rodotà (gli hanno prospettato la cadrega e non ha capito più nulla; lo diceva il mio leggendario colonnello durante la naia: comandare è meglio che fottere) è il presidente degli italiani; è un golpe; la democrazia siamo noi; è un inciucio, non vale; la rete è democratica il Parlamento no; noi insultiamo? Siete voi che insultate il paese.
Ho pensato: sono negli anni Settanta, minchia. Questi parlano come quelli. Parlano senza ascoltare, fissandoti con quell’espressione carica di disprezzo, con quel senso di superiorità che non ammette repliche. Dovete fare come diciamo noi. Sì, ’sta cippa. Anche se lo facessi, cara mia, non basterebbe. Dovrei “essere” voi.
Quindi? È una lezione soprattutto per me. In politica e nel calcio, compagni e amici, non si inventa nulla. Si ricicla. Pensavo che la Juve non si risollevasse così presto e invece eccola qua. Pensavo di non incontrare più gente che ha capito tutto (e io no). E invece eccola qui. Ma finiranno come gli altri. Io non ci sarò più, ma voi ricordate quello che vi dico: finiranno come gli altri, a scrivere sul Foglio e/o a lavorare per il Berlusca di turno.