In memoria di suor Kaleta, che battezzava di nascosto durante il regime comunista

Di Rodolfo Casadei
16 Gennaio 2022
È morta a 92 anni in Albania la suora testimone del martirio cattolico sotto Enver Hoxha. Papa Francesco la portava come esempio di "Chiesa donna e madre"
Suor Maria Kaleta con Papa Francesco

Il 2 gennaio scorso in un convento di Scutari, nel nord dell’Albania, si è spenta suor Maria Kaleta, 92enne religiosa stimmatina, testimone del martirio dei cattolici sotto il regime comunista di Enver Hoxha e coraggiosa evangelizzatrice a rischio della propria vita. Nel 2014, in occasione del viaggio di papa Francesco in Albania, suor Maria (Marje in lingua albanese) aveva raccontato la sua storia davanti al pontefice nella cattedrale di Tirana. Il Papa era rimasto talmente colpito che ancora quattro anni dopo la ricordava e l’aveva citata in una sua omelia alla Messa in Santa Marta come esempio di “Chiesa donna e madre”.

Quel battesimo con una scarpa di plastica

Suor Maria aveva iniziato il noviziato nel 1944 all’età di 14 anni, ma ha potuto pronunciare i voti perpetui solo nel 1991, dopo la caduta del regime, perché i comunisti avevano chiuso il convento nel 1951. Tornata a vivere presso i genitori, assisteva uno zio prete che era stato incarcerato, e che era la persona che l’aveva aiutata a farsi accettare in convento. Dopo la morte del padre e della madre era rimasta a vivere da sola nella loro umile casa.

Di lei l’agenzia Sir ha scritto: «Andava dai sacerdoti di nascosto, prendeva l’eucarestia e la portava agli ammalati, ai sacerdoti in prigione. Negli anni del regime, raccontava Suor Kaleta, (…) “ho battezzato non solo i bambini dei villaggi, ma anche tutti coloro che si presentavano alla mia porta”. Una volta, addirittura, battezzò una bambina prendendo l’acqua da un canale con la scarpa. “Ho avuto anche la fortuna di custodire in un comodino di casa il Santissimo Sacramento, che portavo alle persone malate e in punto di morte”».

La storia del battesimo con l’acqua di una canale e per mezzo della sua stessa scarpa di plastica è particolarmente suggestiva: «Stavo tornando a casa quando udii una voce dietro di me», raccontò nella cattedrale di Tirana alla presenza del papa. «Era una donna che teneva in braccio la sua bambina e che correva verso di me chiedendomi di battezzarla. Avevo paura che si trattasse di una trappola, perché quella donna era nota come attivista del Partito Comunista. Le dissi che non avevo con me il necessario per il battesimo, ma lei insistette mostrando un desiderio sincero, addirittura facendomi notare che potevamo usare l’acqua del canale lì vicino. Replicai che non avevamo nulla per raccogliere e versare l’acqua sulla testa della bambina, ma lei continuava ad insistere. Allora mi tolsi una delle scarpe, che erano fatte di plastica, la riempii d’acqua e con quella la battezzai».

L’Albania atea e materialista di Hoxha

Nel 1967 il presidente Hoxha lanciò la campagna contro l’”ideologia religiosa” in Albania, e nel 1976, dopo aver introdotto una serie di legge draconiane contro i credenti di tutte le religioni (tradizionalmente il 70 per cento degli albanesi è musulmano, il 20 per cento cristiano ortodosso e il 10 per cento cattolico), il governo comunista dichiarò l’Albania primo Stato completamente ateo al mondo. Pregare (anche in privato), farsi il segno della croce, portare una catenina col crocifisso o altro simbolo cristiano al collo, detenere letteratura religiosa, celebrare Messa e qualunque altro segno, azione od oggetto che testimoniassero la fede in Dio di una persona furono considerati atti criminali punibili a norma di legge.

Nella Costituzione del 1976 all’articolo 37 si leggeva che «lo Stato non riconosce alcuna religione e sostiene e sviluppa la propaganda ateistica per diffondere nel popolo la visione materialista scientifica del mondo». Chiese, moschee e altri luoghi di culto furono trasformati in centri commerciali, palazzetti sportivi o teatri. Secondo il Museo della Memoria online dell’Istituto albanese di studi politici, furono chiuse 2.169 istituzioni religiose, comprendenti 740 moschee, 608 chiese ortodosse, 157 chiese cattoliche, 530 mausolei ottomani e santuari sufi.

Fra gli edifici sottratti al culto c’era anche la cattedrale di Scutari (la regione albanese con la più alta concentrazione di cattolici), trasformata in palazzetto dello sport. Restituita al culto dopo la fine del comunismo, il 5 novembre 2016 divenne il sito della beatificazione di 38 martiri della fede uccisi dai comunisti.

Il ricordo di papa Francesco

Il 26 gennaio 2018 papa Francesco rievocò la testimonianza di suor Marje in questi termini: «Io ricordo quando sono andato in Albania, ho conosciuto una suora anziana. Questa suora era prigioniera al tempo della persecuzione, ma la lasciavano uscire un po’ qualche ora e andava. Era una prigione a metà, perché dicevano i persecutori: “ma questa poveraccia cosa farà!”. E questa “poveraccia” era furba, sapeva fare la cosa e amava Cristo, era madre, aveva cuore di madre. (…) le donne cristiane – perché non c’era chiesa e se qualcuno faceva battezzare i figli veniva condannato in quel tempo lì – sapevano quando la suora andava un po’ a passeggiare lungo il fiume, le portavano i bambini e lei li battezzava con l’acqua del fiume».

Quello vissuto da suor Maria, disse, è un «bell’esempio: la Chiesa madre». Tra le persone battezzate da suor Maria negli anni del regime c’era anche Simon Kulli, che nel 2017 è diventato vescovo della diocesi di Sapë, nel nord-est del Paese, dove 70 mila dei 135 mila abitanti sono battezzati nella Chiesa cattolica.

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