
IL’DEMONE’ DELLA PITTURA
Willem De Kooning (1904, Rotterdam – 1997, Rhode Island) quando arriva clandestinamente negli Usa, a soli 22 anni, non ha la minima idea che il dono della pittura l’avrebbe seguito fin lì. Non ci credeva più. Si era messo in mente di fare l’illustratore. Eppure disegnava, e bene, fin da piccolo. Un talento evidente, tanto che, in Olanda a 12 anni aveva cominciato a lavorare come apprendista in uno studio d’arte. Poi a frequentare i corsi serali dell’Académie van Beeldende Kunsten di Rotterdam. Poi in Belgio, a Bruxelles, all’Académie des Beaux Arts e ad Anversa alla scuola di disegno Van Schelling. Ma tant’è, «quando si hanno 19 o 20 anni, invece, la cosa più importante è la propria affermazione nel mondo, e rinunciare all’arte sembra allora una perdita irrilevante». Ma il “demone” della pittura non lo molla. Arrivato nel New Jersey si ritrova a fare l’imbianchino. L’anno dopo a New York, il decoratore di locali notturni. Un filo rosso, fatto di rulli, pennelli e latte di colore, lo tiene legato all’Europa, all’origine. Così alla sera, quand’è libero, dipinge quadri che poi distrugge: non lo soddisfano. Intanto stringe amicizia con un altro artista emigrato, che faceva strane tele popolate da forme organiche: Arshile Gorky, arrivato lì a 16 anni dall’Armenia. Sarà lui a indurlo ad abbandonare ogni impiego precario e decidere per la pittura, «a riportarmi agli interessi che coltivavo a quattordici, quindici, sedici anni», dirà. Qualche anno dopo scoppia la II Guerra Mondiale. A New York arriva la grande ondata di esuli che fugge dall’occupazione nazista di Parigi: Breton, Ernst, Dalì, Matta, Tanguy, Masson. Il gruppo surrealista quasi al completo. Predicano l’automatismo psichico nella formazione dell’immagine e la scrittura automatica, come espressione «del subcosciente al di fuori di ogni controllo della ragione». Avranno un’influenza fondamentale, deleteria e devastante, sui giovani pittori newyorkesi. Il secondo fattore fu la presenza di Hans Hofmann, bavarese, che insegnava pittura, con matrice spiccatamente espressionista, all’Art Students League. Intanto De Kooning conosce altri giovani artisti: Mark Rothko, Franz Kline, Jackson Pollock, Robert Motherwell, Lee Krasner. Iniziano a frequentare un club sull’Ottava Strada, «le altre sere ci trovavamo tutti al Cedar Bar, perché a quel tempo bevevamo tutti». Sarà la loro Montmartre. In una New York frenetica, brutale, istintiva all’inverosimile. Sono gli inizi dell’espressionismo astratto, poi ribattezzato “action painting”. L’unico movimento artistico d’avanguardia, l’ultimo, che gli Stati Uniti abbiano mai espresso. Quello in cui cresce il giovane Wiliam Congdon per intenderci. Un dipinto per De Kooning è un evento, un’arena in cui agire. Qualcosa che accade mentre lo si fa, dettato dal gesto fisico, impulsivo e automatico. Per cui è sempre imprevedibile. Fare e distruggere perché l’immagine emerga da sé. è così per “Zot” (1949), campo di battaglia dove accenni di forme, in divenire, navigano nel flusso del bianco, oppure “Woman – Blue eyes” (1953), appartenente alla sua serie più celebre, con una donna-demone, sorta di dea madre, incontrata per strada, o “Door to the River” (1960), pura sensazione provata davanti a un paesaggio. Ora 50 suoi quadri sono tornati a Rotterdam. Andate a vederli se vi capita. Si capisce di più che razza di grazia è toccata a William Congdon quando ha incontrato la forma.
“Willem De Kooning
Painting and drawings”
Kunsthal Rotterdam
Museumpark
Westzeedijk 341
3015 AA Rotterdam
Fino al 3 luglio 2005
Orari: martedì – sabato 10.00 – 17.00
Domenica 11.00 – 17.00
Biglietto: 8,50 euro
Tel. 010 – 4400300
Info 010 – 4400301
www.kunsthal.nl
Catalogo: 29,95 euro
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