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Il vero volto (sconosciuto) di Delacroix
Nella Parigi degli anni venti dell’Ottocento – la Parigi dell’ormai tardo illuminismo, dei salon che spalancano le porte a tutti gli artisti, degli atelier di Pierre Guérin, Horace Vernet e degli altri seguaci di Jacques-Louis David – Eugène Delacroix (1798-1863) è ancora un discepolo che muove i primi passi all’interno di quell’universo del giudizio estetico di cui desidera ardentemente far parte, ma che gli sembra ancora misterioso e impenetrabile. Sono gli anni dei suoi primi tentativi, in cui è forte il sentimento di incertezza per la resa dei soggetti e insostenibile il disagio nel momento in cui manca la “giusta” ispirazione. Ma più forte è il desiderio di sperimentare, di reinventare in modo autonomo la lezione dei maestri, per portare alla luce nuovi concetti espressivi. Le occasioni di mettersi all’opera non mancano di certo al promettente Delacroix. Una della prime risale al 1820. «Ho appena ricevuto una commission», scrive il giovane Eugène alla sorella Henriette de Verninac, «Si tratta di un dipinto per un vescovo di Nantes (…) a cui bisogna inviare gli schizzi e le bozze preparatorie». L’opera a cui si riferisce è la quasi sconosciuta Vergine del Sacro Cuore del 1821, oggi conservata in Corsica. Destinata inizialmente alla Cattedrale di Nantes, oltre a essere una delle primissime rappresentazioni sacre eseguite dal pittore, è forse quella dalla genesi più controversa. L’incarico, infatti, non era mai stato assegnato direttamente a Delacroix, ma gli era stato passato da Théodore Géricault, il quale aveva ricevuto l’ordine da parte di Auguste de Forbin, direttore dei Musées Royales, il 31 dicembre 1819.
Il giovane pittore, pur sapendo che non avrebbe potuto apporre la propria firma e che avrebbe beneficiato solo di parte del compenso economico, si dedica lo stesso, anima e corpo, all’esecuzione della tela. I numerosi disegni preparatori, eseguiti a partire dal luglio 1820, e le numerose lettere conservate, ben raccontano la genesi dell’opera svelando senza mezzi termini l’incessante senso di insoddisfazione e le difficoltà incontrate dall’artista. «L’idea dell’opera che devo fare» scrive Delacroix in una lettera del 20 ottobre 1820 all’amico Jean-Baptiste Pierret «mi perseguita come uno spettro, (…) tutto ciò che porto a compimento mi sembra misero». «Faccio, disfaccio, ricomincio e non raggiungo mai il risultato che cerco» dice ancora il pittore in una lettera del 21 febbraio 1821 indirizzata a Charles-Raymond Soulier. Queste parole non sono altro che il riflesso più forte e chiaro del genio di Delacroix, che rivela la sua grandezza attraverso il tormento, l’insoddisfazione e il procedere a tentoni, ma che alla fine riesce ad approdare ad un risultato che non può non essere sublime.
Ma come spesso accade, né il genio né la sua opera hanno goduto del giusto riconoscimento. Di fronte a questa Vergine ieratica e possente che trionfa con le sue forme a malapena nascoste dalla veste, forte fu il disappunto delle autorità religiose di Nantes che rifiutarono la tela giudicandola inadatta a ispirare sentimenti di devozione. Ma forse è stato anche quel personaggio misterioso in primo piano che ruba la scena alla Vergine a lasciare perplessi i committenti. Chi è quest’uomo con il capo coperto da un manto rosso che pensa e si tormenta invece di ricercare, come fanno gli altri due personaggi sulla destra, lo sguardo misericordioso del Divino? E’ il padre dell’opera stessa, la firma mai riposta, è il Delacroix che rompe tutti gli schemi e che manifesta con questo autoritratto la sua presenza forte e chiara in un capolavoro che ancora oggi possiamo ammirare e contemplare nella Cappella della Madonna del Pianto della Cattedrale di di Notre Dame de l’Assomption Ajaccio che lo custodisce gelosamente dal 1827.
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